mercoledì 31 ottobre 2012


THE MIST ( The mist,USA 2007)
DI FRANK DARABONT
Con THOMAS JANE, Marcia Gay Harden,Toby Jones,Laurie Holden.
HORROR
Da un autore che al cinema USA ha fornito spunti,canovacci e soggetti veri e propri come pochi altri nell'ultima metà secolo,come Stephen King, viene anche "La nebbia" ,racconto apocalittico,che vede la normalità di un supermercato di provincia in una mattina qualunque divenire,forse,uno dei pochi luoghi di difesa da un'inaspettata e terribilmente immediata minaccia,sotto forma di una nebbia che cela creature mostruose e antropofaghe.Il controllo dell'Uomo su territorio,Natura e sorte è essenziale,creare una situazione di caos potenziale e paura per l'autore di "It" è normalissimo:Frank Darabont per la terza volta,dopo "Le ali della libertà" e "Il miglio verde" torna a realizzare un film da regista su un testo kinghiano,e "The mist",che prevede,in piena era Bush II, un monito non da poco su una demente qualsiasi che si elegge profeta nella microcomunità in pericolo e fa accoliti tra i terrorizzati coabitanti del luogo di rifugio richiedendo misure efferate e draconiane giustificando,come purtroppo accaduto nei secoli,la crudeltà con assurdità misticheggianti. Il film si svolge con gli schemi della comunità assediata,mostrando più di quello che sulla pagina è spesso più accennato e qua diviene più esplicito;inoltre,se nel racconto originale la conclusione era sospesa,ma su un filo di speranza,con il compito più ingrato per un genitore,soffiare ottimismo nella mente del figlio di fronte al disastro totale,qua la conclusione è la più atroce possibile,una beffa di incredibile crudeltà.Darabont,in anni tra i più cupi per il proprio paese,sarà probabilmente un autore che verrà riscoperto tardivamente,come accade spesso a chi sceglie più di scandagliare il cinema di genere (vedi Siegel,Argento,ma anche Leone,che ha cominciato ad essere venerato quando girò "C'era una volta in America",molti anni dopo gli western),e coraggiosamente sceglie una via lontano dall'edificante,per un apologo che lascia lo spettatore amareggiato,soprattutto per la forza inaspettata di una conclusione ancor più pessimista del dibattuto "The road".Tra gli interpreti,bravissima Marcia Gay Harden in un personaggio odioso quale la fanatica e autoproclamatasi profeta che si rende colpevole perlomeno di un delitto,Thomas Jane è volenteroso,ma continua a sembrare la bella copia di Christopher Lambert.

lunedì 29 ottobre 2012


LE BELVE (Savages,USA 2012)
DI OLIVER STONE
Con TAYLOR KITSCH,AARON JOHNSON,BLAKE LIVELY,Benicio Del Toro.
DRAMMATICO/AZIONE
Del romanzo "Savages" di Don Winslow,Oliver Stone aveva comprato i diritti prima ancora che fosse stampato,invaghitosi dello stile di uno scrittore che si sta facendo strada tra gli appassionati del noir moderno,vedi "L'inverno di Frankie Machine",di cui,da tempo,è annunciata una versione cinematografica con Robert De Niro protagonista:il romanzo è scritto in uno stile originale,atipico,che ha addirittura capitoli formati da mezza frase in sospensione,o momenti nei quali pare di star leggendo una sceneggiatura,tanto è l'effetto "cinematografico" che compie sul lettore.E tuttavia,nel finale,quel che se ne trae,è l'inaspettata conclusione,in un racconto spesso immorale,che ogni essere umano,anche il peggiore,e ne "Le belve" si ha un bel campionario,tra assassini,corrotti,stupratori,spacciatori,torturatori e delinquenti vari,il fattore X è inevitabilmente l'Amore,quello che porta a perdersi e offrire il fianco,mostrando la viva carne sotto la corazza di indifferenza,menefreghismo,crudeltà e ostilità di cui sono impastati un pò tutti i personaggi.In questo senso,il romanzo guadagna punti e lascia una sensazione successiva alla sua conclusione che lo riqualifica assai.Stone,pur essendo nato sceneggiatore di successo,riporta sullo schermo il canovaccio,più o meno aderente alla pagina scritta,ma elimina un personaggio importante quale la madre della ragazza bella,bionda e oggetto dell'amore dei due coprotagonisti,O. (è stato eliminato al montaggio,recitato da Uma Thurman...),e soprattutto muta,dopo aver realizzato quella che è la fine sulle pagine,una totale inversione che stravolge il romanzo originale e confeziona un finale inaspettato e fin troppo assolutorio,al di là della provocazione e delle intenzioni probabilmente beffarde del regista. In un quadro di tradimenti continui,di efferatezze di pratica attuazione,la storia dei due coltivatori di marijuana entrati in conflitto con un cartello di narcotrafficanti messicani ha poco del probabile,e,se è vero che il regista di "Nato il quattro luglio" mantiene un controllo dell'immagine riscontrabile in pochi altri contemporanei,miscelando a questo un utilizzo di grandi nomi in performances attoriali di spicco (il dialogo in cucina tra Del Toro e Travolta,in tal senso,è uno dei momenti migliori della pellicola),"Le belve" è uno dei suoi lavori meno efficaci,confermando la sensazione di impasse che negli ultimi anni mi è parsa di cogliere in uno degli autori più innovativi,audaci e capaci di unire "cinema-cinema" a riflessioni  storiche e politiche di ampio respiro.Eccessivo,barocco,sopra le righe,il cinema di Oliver Stone da sempre è degno scatenatore di discussioni tra chi lo contesta e chi lo ama:se voleva essere una parodia del nuovo noir che dentro sè ha venature western e influenze da altri paesi,"Savages" non funziona fino in fondo,e comunque non fa filtrare l'ironia che vorrebbe possedere.Tra gli interpreti,meglio i big in ruoli secondari come Del Toro,Travolta e Salma Hayek (che,tra l'altro,come oggetto del desiderio stravince con la nuova bellezza wasp Blake Lively) dei tre nuovi potenziali divi,troppo al servizio di clichès risaputi per brillare.

sabato 27 ottobre 2012



LA CHIESA (I,1989)
DI MICHELE SOAVI
Con TOMAS ARANA,BARBARA CUPISTI,Asia Argento,Feodor Chaliapin jr..
HORROR
Negli anni Ottanta uscirono un paio di horror con il nome di Dario Argento in primissimo piano sui manifesti,che specificavano un "presenta",e quindi implicavano che il più amato regista specializzato in brividi e visioni al sangue producesse o fosse coinvolto in qualche maniera nel film in uscita,e molti invece pensavano che fossero proprio film suoi,diretti da Argento:si sta parlando di "Demoni" di Lamberto Bava,e di "La chiesa" di Michele Soavi.Se il film di Bava è a tutt'oggi uno dei più sfrenati campionari di gore all'italiana,magari non al livello di certe truculenze di Joe D'Amato o Lucio Fulci,questo di Soavi venne dopo "Deliria",lavoro d'esordio realizzato in economia che aveva incuriosito i più.Allievo argentiano che compare come attore anche in "Opera" (era il poliziotto che deve sorvegliare la protagonista ovviamente anch'egli caduto sul campo),Soavi realizzò questa volta un film dell'orrore su un luogo dannato che,paradossalmente,dovrebbe essere l'ultimo in cui alberghino spiriti maligni e diavoli:si parte dal massacro di un paese,nel Medio Evo,in cui dei cavalieri uccidono con compiaciuto sadismo gli abitanti,dopo aver a loro dire individuato una strega.Sullo stesso,nel Ventesimo secolo sorge appunto una cattedrale,in cui,soprattutto nella seconda parte,un Male risorto porta alla morte quasi tutti i personaggi coinvolti nella trama.Soavi scrive,in collaborazione con Argento e Franco Ferrini la sceneggiatura,anticipando certe degenerazioni del cinema del suo mentore:la trama è praticamente nulla,tutto si svolge in un'atmosfera di vacua e goffa seriosità (ed infatti,a ben pensarci,la decadenza del cinema argentiano è un pò cominciata quando con "Suspiria",che pure è un film di categoria,si va a perdere molto dell'umorismo che trapelava qua e là nei primi lavori del regista romano),e se a livello di impatto delle scene più fantastiche gli effetti speciali non sono disdicevoli,rimane il sospetto di un film che non fa altro che cercare l'effetto splatter,che siano teste che volano,o corpi infilzati.Ed una scena di possessione carnal-demoniaca che fa rimpiangere amaramente la chiara sequenza di ispirazione di "Rosemary's baby" che senza mostrare quasi niente suscitava ben altra inquietudine.

venerdì 26 ottobre 2012


M-Il mostro di Dusseldorf ( M,D,1931)
DI FRITZ LANG
Con  PETER LORRE, Otto Wernicke,Gustav Grundgens,Theo Lingen.
DRAMMATICO
Titolo storico,esempio di espressionismo che si amalgama all'avvento del sonoro,"M" è anche una pellicola assai avanti a livello di psicologia criminale,mostrando insieme la" banalità del Male",nell'identità del killer che uccide bambine nella Germania che si prepara al totalitarismo nazista,ed il lato umano,insopprimibile,di una psiche spezzata e un istinto omicida incontrollabile:tuttavia,Fritz Lang,e questo è uno dei motivi per cui questo lungometraggio ha avuto l'importanza che merita,non dimentica,nonostante la gravità dei crimini commessi,e la particolare crudeltà del Fato,nella scelta delle vittime dell'assassino,di trovare il modo per esprimere un minimo di pietà per un folle irresponsabile fino in fondo delle proprie nefaste azioni.In più."M" diviene l'occasione per uno sguardo accusatorio su una nazione ridotta al minimo della propria dignità,in cui qualsiasi cialtrone possa ergersi a giudice di chiunque altro,e disporre di vita o morte del prossimo.Forse la chiave di lettura che vede il film come una satira acuminata camuffata da dramma criminale non è lontana dalle intenzioni dell'autore,uomo di cinema di straordinario intuito e talento per le immagini:un bianco e nero che a tratti sembra assumere colori cupi a tingere la fosca storia narrata.La fuga dell'ometto grigio ed insignificante Peter Lorre,che si risolve nella sua cattura,ed il monologo straziato ed inquietante,un vero capolavoro d'attore,dello stesso,al processo sommario che viene intentato all'assassino dai delinquenti della città.L'umorismo sarcastico di Lang emerge netto nella scena in cui la polizia intima il mani in alto ed ognuno presente alza le braccia.Un film che,a settant'anni,ed oltre,dalla sua uscita,mantiene sia lo status di film di culto,che,dal motivo fischiettato dal maniaco al suo ingresso in scena,ad altri momenti rimasti nella mente di tanti spettatori e amanti del cinema,non perde neanche un grammo del suo fascino e della sua modernità.

mercoledì 24 ottobre 2012


TOTAL RECALL-Atto di forza (Total recall,USA/CAN 2012)
DI LEN WISEMAN
Con COLIN FARRELL, Jessica Biel,Kate Beckinsale,Bill Nighy.
FANTASCIENZA/AZIONE
Un  remake a giro abbastanza stretto,dato che dall'uscita di "Atto di forza" di Paul Verhoeven sono passati vent'anni e poco appena di più,che dovrebbe essere più aderente al racconto originale,perchè all'epoca del grande successo del film con Arnold Scharzenegger molti puristi ebbero da eccepire sulle infedeltà al testo.Considerato che è Len Wiseman,responsabile della non imperdibile saga di "Underworld",a essersi preso la briga di girare la nuova versione di "Total recall",c'era da preoccuparsi:e va detto che siamo ad un livello inferiore rispetto al neoclassico del regista di "Robocop",con uno sfondo scenografico sospeso tra "Blade runner" e la trilogia di "Star wars" che contempla l'ascesa all'armatura di Darth Vader per Anakin Skywalker,si evitano le implicazioni zuppe di sarcasmo che puntavano,nemmeno troppo segretamente,con la politica paracolonialista della Terra su Marte non dissimile da molti atteggiamenti USA,pur con un repubblicano di ferro come Schwarzy come protagonista.Il nuovo "Total recall",scenograficamente spettacolare,a buona tenuta di ritmo,si risolve in una lunga sequenza d'azione che parte dieci minuti dopo l'inizio e si conclude appena prima dei titoli di coda.Tra le due bellissime Kate Beckinsale e Jessica Biel,la malvagia e la buona,si rinnova la confusione del personaggio principale,Douglas Quaid,qui interpretato da un ritonificato Colin Farrell.Non siamo dinanzi ad un film di fantascienza che rimarrà nella memoria,ma visto chi lo firma,non è andata neanche troppo male:basta non aspettarsi troppo,forse.

lunedì 22 ottobre 2012


UN'ESTATE AI CARAIBI (I,2009)
DI CARLO VANZINA
Con ENRICO BRIGNANO,BIAGIO IZZO,CARLO BUCCIROSSO,MARTINA STELLA.
COMMEDIA
Avevano provato a creare l'alternativa estiva al "cinepanettone",ma probabilmente il lento ma avviato declino della collaudatissima formula da introiti milionari era già iniziato,e se "Un'estate al mare" era divenuto il "cinecocomero" portando nelle casse un discreto risultato,il successivo "Un'estate ai Caraibi",più costoso nelle locations,è andato a picco,abortendo di fatto l'iniziativa di fornire al pubblico specializzato  che ama correre al cinema a vedere l'annuale comica a base di corna,cafonate e volti della tv spesso prestati a comparsate,un'occasione in più di frequentare le sale.I Vanzina Bros. hanno messo insieme un variegato assemblamento di comici (in cui l'origine geografica ha il suo bel peso,infatti c'è l'episodio per i romani,per i napoletani,per i toscani....) in cui c'è spazio pure per un sosia del Berlusca,che fisicamente gli assomiglia davvero,con implicita ruffianata verso il peggior presidente del Consiglio che l'Italia ricordi.Ne abbiamo visti di ben peggio,sia chiaro,i Vanzina ormai da anni non regnano più sul box-office,ma va loro riconosciuto l'intuito di aver "forgiato" lo schema tipico di  commedie che se non altro hanno fatto la gioia degli esercenti,non certo quella di tanti cinefili.Tra risapute scenette di equivoci abbastanza flosce,belle donne più scoperte possibile senza incappare in nodi censori,un pò di parolacce sparse qua e là,e occasioni di divertimento abbastanza rade:con questo,nulla di peggio di molte pellicole viste nel corso degli anni,ma regna una certa insulsaggine.Tra gli episodi,che ovviamente vedono i protagonisti finire o arricchiti,o premiati dal coronamento di una storia sentimentale al meglio.il peggiore forse quello del triangolo Ruffini-Stella-Conticini,il meno peggio quello di Buccirosso e Bertolino,ma sono giudizi al fotofinish....

domenica 21 ottobre 2012



TED(Ted,USA 2012)
DI SETH MCFARLANE
Con MARK WAHLBERG,SETH MCFARLANE,Mila Kunis,Sam Jones.
COMMEDIA/FANTASTICO
Negli USA è uno dei maggiori incassi dell'anno,e si sta rivelando,anche da noi,uno dei film più visti:"Ted",che rappresenta l'ingresso dalla porta principale nel cinema dei numeri alti del creatore de "I Griffin",cartoon "politicamente scorretto" e di gran successo,è basato su due scommesse vinte,a livello di favore del pubblico.La prima è giocare Mark Wahlberg in versione brillante,e la seconda basare un film su un orso di pezza che ,oltre ad assumere movimenti e parola,è sboccatissimo,si sballa e fa gesti osceni alle ragazze,oltre ad avere misteriosamente happening sessuali con le stesse. Benchè la carta dell'irriverenza,se giocata con coscienza  piena,e coerenza fino in fondo possa risultare alla fine una scelta rispettabile e degna di stima,la commedia diretta da McFarlane,che ha fatto anche da "modello" per l'orsacchiotto birbone,dandogli anche la voce in originale,è irritante,per la volgarità gratuita,l'atteggiamento reazionario di fondo (ma certo,prendersela con "sfigati del ceto medio",dare addosso a chi "a trentacinque anni lavora ancora in un autonoleggio",figuriamoci se non sono idee da condividere...),impugnare il sarcasmo dei repubblicani più ottusi e farne una filosofia di vita,fregandosene di tutto e tutti,oltretutto buttandola anche sul patetico in chiusura,lancia "Ted" tra gli equivoci del grande pubblico più nefasti e assurdi.Non si ride praticamente mai,a meno di non essere di bocca buona  e ridere delle parolacce e degli ammiccamenti demenziali tra Wahlberg ed il suo bizzarro compagno di scena:i riferimenti pop che sicuramente colpiranno la generazione nata intorno al 1970 sarebbero anche potenzialmente gustosi (l'ingresso in scena dell'ex "Flash Gordon" delaurentiisiano,Sam Jones,non è un'idea malvagia),ma si perdono in una celebrazione dell'immaturità quasi offensiva,e,soprattutto,vuota da mettere tristezza.

venerdì 19 ottobre 2012


ON THE ROAD (On the road,USA/F 2012)
DI WALTER SALLES
Con SAM RILEY,GARRETT HEDLUND,Kirsten Stewart,Viggo Mortensen.
DRAMMATICO
Tra i testi più complessi da tradurre in cinema,insieme a "Il pasto nudo" e altri lavori in cui conta,oltre il racconto,ancor di più lo stile usato da chi scrive,"Sulla strada" è un testo sul quale in molti hanno sognato di trarne un film,e altrettanti si sono dannati verificandone l'ardua realizzazione.Coppola,ad esempio,l'ha annunciato molti anni fa,e oggi figura dietro all'operazione,ma non è riuscito a farne un film suo,affidandolo al figlio Roman,che è uno dei produttori,che ha scelto il brasiliano Walter Salles,già in viaggio nella ricostruzione del giovane Che Guevara,ne "I diari della motocicletta".Il film ha rilevato,nella sostanza,parecchie stroncature dalla stampa,reo forse di aver voluto concretizzare uno dei testi che negli ultimi cinquant'anni hanno fatto maggiormente discutere e insieme appassionare migliaia di lettori di ogni dove."On the road" film non è un capolavoro,e questa è sostanzialmente la sua colpa:un film discontinuo,con parti interessanti,altri meno,ma che non manca del tutto il bersaglio dello "spirito del tempo",e parla di un'irrequietezza che non può essere spiegabile,in un Paese che ha appena vinto la più estesa guerra di sempre,ma che conserva al proprio interno barriere pesanti,come specificano i cartelli che escludono le minoranze dai normali servizi ben in vista nei locali pubblici,e la strada diviene un luogo giocabile sempre,purchè serva a sfuggire una vita "normale".Si ritrovano,come noto,personaggi importanti della letteratura,della controcultura,con altri nomi,e non è semplice raccontare ad un ragazzo di oggi questi spiriti sfuggenti,impossibili da far star fermi e omologare.Salles ci prova,non sempre con successo,ma il suo film,pur non entusiasmando a fondo,racconta un'America infinita,frammentata,che offre scenari diversissimi tra loro,come fosse ancora un "work in progress",nonostante abbia già cambiato la Storia sua e del mondo.Tra gli interpreti,spicca la fisicità selvatica di Garrett Hedlund,mentre piuttosto sottoutilizzata risulta Kirsten Dunst.Ma accanirsi su questo film sa un pò di pregiudizio,pur con tutte le riserve di cui sopra.

martedì 16 ottobre 2012

IL GIUSTIZIERE SFIDA LA CITTA' (I,1975)
DI UMBERTO LENZI
Con TOMAS MILIAN,Joseph Cotten,Maria Fiore,Femi Benussi.
AZIONE
Si comincia con il protagonista che arriva in sella ad una moto sfrecciante per le vie di Milano,con un passamontagna rosso e occhiali da centauro,come fosse l'Uomo Ragno,e via via ci sono accenni alle scorribande passate da "Rambo" (proprio così,non si altro circa il suo nome) in Francia,e che conosce tutti di vari giri,ma non si è mai voluto allineare e preferisce la libertà ai vincoli della ricchezza.Non proprio un poliziottesco,ma un film d'azione che ricalca vagamente la trama di "Per un pugno di dollari",che a sua volta ha radici nipponico-veneziane,mettendo l'eroe in mezzo tra due clan,in un gioco criminale in cui ognuno vuol farla in barba all'altro,naturalmente mandando sotto terra diversi avversari:"Il giustiziere sfida la città" è un prodotto tipico della fase centrale degli anni Settanta,in cui la Polizia è assente o non riesce a combinare praticamente nulla,e se si vuole un minimo di Giustizia contro parte della peggior feccia mondiale,abile a massacrare,violentare e compiere sgarri di ogni tipo e peso a ripetizione,occorre prendere un'arma da fuoco e tirare meglio dei cattivi.Nella logica  bambinesca di molti di questi film,questo di Lenzi non è neanche tra i peggiori,ma è abbastanza scontato,e poi il protagonista è l'idolo dei ragazzini di qualsiasi estrazione,viene guardato dalle donne con desiderio e dai nemici con timore,se non addirittura con rispetto:Milian è più moderato del solito,fornendo tutto sommato una discreta interpretazione,Cotten era nella fase "italiana" in cui girava spesso film non sempre di qualità con il tipico professionismo dell'ex-star hollywoodiana,Femi Benussi fa appena in tempo a mostrare il seno prima del momento fatale per la sua ragazza perduta innamorata di "Rambo".Musiche aggressive di Franco Micalizzi,buone le riprese degli inseguimenti.Per il resto,poco altro da dire.

DUELLO AL SOLE ( Duel in the sun,USA 1947)
DI KING VIDOR
Con JENNIFER JONES,GREGORY PECK,Joseph Cotten,Lionel Barrymore.
WESTERN
Colori in preda allo scatenamento delle passioni,e più che d'amore,si può parlare appunto di un irrefrenabile impeto di ciò che scarmiglia i pensieri,rende tutto alla più alta tensione e fa compiere spesso gesti fuori da ogni logica,in questo western amalgamato al melò più intenso e sfrenato,che cambiò tre registi prima di giungere sotto la guida di King Vidor.Uno dei finali più ricordati del cinema di sempre,con un ricongiungimento di amanti che si concedono un ultimo bacio dopo essersi sparati addosso,a sottolineare,infatti,la follia che si annida alla base di ogni passione sospinta e lasciata divampare.Si può dire che a tratti,il racconto non si discosta di molto dai canovacci tipici della sceneggiata vera e propria,con minacce di morte,realizzazioni delle stesse,abbandoni,lacrime di disperazione,addii e perdoni:Jennifer Jones impersona,dopo essere stata monaca angelizzata in "Bernadette",una donna di sangue mescolato e ribollente,che tra due fratellastri ovviamente sceglie quello più bello ma assai peggiore nello spirito e nel carattere,e il loro percorso non può portare che ad un finale tragico.Vidor non perde occasione per sottolineare la ridondanza della materia con riprese,tinte e musiche sempre maiuscole,salvo,sorprendentemente,chiudere il film con un silenzio mortale in un carrello all'indietro sul quadro finale.La Jones offre ingenuità,confusione di sentimenti e pensieri,incoscienza al proprio personaggio,e benissimo risulta Gregory Peck,nell'iter che porta il suo da spaccone prestante a carogna vera e propria,che uccide a sangue freddo e per picca.Eccessivo,ad un passo dal fotoromanzo,ma potente.

lunedì 15 ottobre 2012


LA STORIA DI GLENN MILLER (The Glenn Miller Story,USA 1954)
DI ANTHONY MANN
Con JAMES STEWART,June Allyson,Charles Drake,Henry Morgan.
DRAMMATICO/BIOGRAFICO
Artista capace e inventivo,tra quelli che spinsero tramutando la canzonetta in melodia buona per tutti gli usi ed innalzarla a livello di classico che non viene sfregiato o stinto dal tempo,Glenn Miller ebbe una parabola vitale che non poteva sfuggire a Hollywood.Dando a Miller il volto di James Stewart,che in effetti un pò somigliava al musicista che creò "Moonlight serenade",e con la regia di Anthony Mann,il racconto dei primi successi,del lancio di "In the mood" e altre bellissime composizioni di Miller,fino alla tragica morte su un aereo,all'apice del successo,vengono messi evidenza il pacato e garbato estro dell'oggetto dell'analisi romanzata   di un altro che visse il "sogno americano".Girato perlopiù sul filo leggero,ad un passo dalla commedia,trova la sua chiave espressiva nelle sequenze che volgono a chiudere il film:dall'esecuzione dei brani di maggior successo milleriani sotto i bombardamenti,le marce rivedute e corrette dal protgonista,nonostante gli inflessibili ordini dei superiori,e la malinconica conclusione che sancisce la fine del sogno,ma non quella delle splendide musiche di Miller.E sotto la direzione di Mann,la musica diventa un modo per dire che nonostante le brutture,la violenza delle guerre,le bombe,la paura dei cataclismi creati dall'Uomo,si può andare oltre seguendo il meglio che questo può creare,siano l'arte o i gesti di pratica sopravvivenza alle cose.Bravissimo Stewart nel fine ritratto del celebre compositore ripreso anche nei momenti privati,ma non è da meno June Allyson,appassionata sposa di Miller.

lunedì 8 ottobre 2012


PIU' BELLO DI COSI' SI MUORE (I,1982)
DI PASQUALE FESTA CAMPANILE
Con ENRICO MONTESANO,Monica Guerritore,Vittorio Caprioli,Ida Di Benedetto.
COMMEDIA
Attori celebri en travesti se ne sono avuti eccome,dalle icone Tony Curtis e Jack Lemmon,fino a Dustin Hoffman ,Michel Serrault,Robin Williams e Cary Grant,e perfino Sylvester Stallone:una commedia interamente imperniata su un uomo che deve ricorrere ad un credibile travestimento da signora per risolvere un qualsivoglia problema,che sia di sopravvivenza,di convenienza o altro:nelle file italiche ecco Enrico Montesano,nei panni di un disgraziatuccio sposato ad una bella popolana,che esce dal carcere dopo essere stato condannato per un furto da quattro soldi,dover vivere con cognato tignoso (Toni Ucci) e cognata vogliosa (Ida Di Benedetto) in quattro mura neanche tanto salde,dover diventare "Marina" e fare innamorare un ricco nobile ancora casto a cinquantasei anni,succube di una madre prepotente.Argomento da pochade,messa in scena un pò grossolana,nonostante la forte esperienza di Festa Campanile,che già all'epoca rappresentava un rebus,perchè pubblicava libri che venivano apprezzati dalla critica e girava film di cassetta ma giudicati perlopiù rozzi dai recensori,"Più bello di così..." è desunto da un libro di un umorista neanche dozzinale quale Franco Amurri,ma non trova mai la pedalata giusta,gira a basso regime di ritmo,e sul finale vira addirittura sul patetico,con il protagonista in piena crisi identitaria.Montesano di commediole di consistenza relativa ne ha girate diverse,questa,tra l'altro,non ottenne neanche un gran riscontro di pubblico,sia la Guerritore che la Di Benedetto sono apparizioni affascinanti,Ucci ci mette il mestiere di comprimario di lunga data,Caprioli imprime,ad un personaggio che parte vittima,un'aura leggermente viscida quale era uso fare.Ma per divertirsi,o almeno fare due sane risate,meglio cercare da un'altra parte.

IL COMMISSARIO MAIGRET
(Maigret tend un piège,F/I 1958)
DI JEAN DELANNOY
Con JEAN GABIN,Annie Girardot,Olivier Hussenot,Jeanne Boitel.
GIALLO
Primo di tre film con Jean Gabin nei panni del commissario inventato da Georges Simenon,divenuto poi il riferimento principale della rappresentazione dell'investigatore transalpino,oltre all'altra,parallela e venuta fuori un pò più tardi,di Gino Cervi negli sceneggiati Rai,"Il commissario Maigret" è tratto,naturalmente,da un romanzo della serie,e vede Maigret sulle tracce di un assassino che uccide donne che passeggiano di notte per strada,rientrando da un'uscita serale.Il film,ben costruito nelle psicologie e nella rappresentazione,abbastanza audace per quanto riguarda motivazioni dell'omicida ed implicazioni psicanalitiche,è piacevole,ben tagliato a livello di montaggio e dialoghi,con un protagonista carismatico,che qui recita "in levare",giocando di sottrazione,mettendosi addosso il personaggio letterario con proprietà e aderenza,allo stesso tempo vestendo di sè un carattere già celebre e adeguato alla propria recitazione ed al proprio approccio.Una fotografia che dispensa bene il divario tra luce ed ombra,alcuni inserti ironici che non difettano (l'uomo preso nel sonno che continua a dormire in commissariato...),e una già notevole Annie Girardot.Simenon era contento della trasposizione,ed aveva ragione.

domenica 7 ottobre 2012


AIRPORT 77 (Airport 77,USA 1977)
DI JERRY JAMESON
Con JACK LEMMON,Brenda Vaccaro,James Stewart,Lee Grant.
DRAMMATICO
Il miglior risultato commerciale della serie "Airport",assieme al capostipite,è il terzo episodio di una serie che non ha altre attinenze tra i vari capitoli,che il titolo e lo schema narrativo:un protagonista di fama considerevole,vari attori noti a fare da corona (spesso vecchie glorie,soprattutto in questo caso),e un disastro aereo che colpisce il jet su cui sono imbarcati i personaggi con le varie storie personali,le loro reazioni al tragico evento,ed il tentativo di gestire al meglio la paurosa situazione,per portare a casa quanti più passeggeri si possa. Le regie sono sempre state a cura di directors più pratici che altro,e qui l'idea è di un aereo inabissatosi dopo un furto a bordo che vede il pilota in seconda coinvolto,ed i tentativi di tirarlo in superficie.Nel variopinto cast ci sono il glorioso Jimmy Stewart,Brenda Vaccaro,Olivia De Havilland,Joseph Cotten,Christopher Lee (in inusuale veste di vittima),e le scene migliori sono quelle subacquee,con un finale che celebra la capacità organizzativa della Marina Militare,le sue tecnologie e la rapidità d'esecuzione,con tanto di effigie finale prima dei titoli di coda a ricordare le potenzialità delle difensive USA. Abbastanza scontato,incuriosisce per il coinvolgimento di un attore come Lemmon in un'operazione del genere e trova la migliore interpretazione nell'insopportabile,viziata signora dal drink facile Lee Grant:ma per arrivare al tirato finale c'è da buttare giù un'ora e mezza di passaggi obbligati che intorpidiscono l'attenzione.

venerdì 5 ottobre 2012


IO HO PAURA (I,1977)
DI DAMIANO DAMIANI
Con GIAN MARIA VOLONTE',Erland Josephson,Angelica Ippolito,Mario Adorf.
DRAMMATICO
Brigadiere con una vita sociale scombinata,Luciano Graziano è un uomo che non sa tenersi un qualsiasi rapporto,nè sentimentale,nè umano,con un evidente peso interiore,ma è un poliziotto bravo:affidato a fare da scorta ad un giudice onesto ma un pò ottuso e profondamente cattolico,incapace di captare i segnali di corruzione intorno a sè,non riesce a salvarlo da un agguato in cui rimane egli stesso ferito.Affidato ad un secondo magistrato caratterialmente all'opposto,verrà condotto dall'istinto a scoprire cose amare,e giocare allo stesso gioco dei malavitosi che hanno ordito una trappola per lui. Nel cinema di Damiano Damiani è chiaro il pessimismo di fondo,ma anche l'ostinazione nella necessità di combattere con ogni mezzo,anche il cinema,la rassegnazione al Potere sinuoso del malaffare:"Io ho paura" è un lavoro del regista friulano che conobbe più sfavore di altre sue pellicole,probabilmente perchè "sparava alto" e in sè ha maggiori ambizioni di altri capitoli della sua filmografia.Forse il difetto maggiore di "Io ho paura" è lo stare nel mezzo tra il metafisico di "Cadaveri eccellenti" e il thriller politico che non disdegna puntate nell'azione tipico del cinema di Damiani,però Volontè è bravissimo a rendere un personaggio rozzo,scontroso,eppure dotato di un'intelligenza istintiva viva che lo renderà un osso duro per chi vuole eliminarlo,e il quadro sconfortante dei livelli della mafia che si possono permettere di giocare pedine impensate è ben dipinto.Aiutato anche da presenze di spicco quali un disinvolto Mario Adorf ed un trattenuto,compassatissimo Erland Josephson,può essere accettato come documento su anni che appunto pesavano come piombo sulla Storia del nostro paese.E,una volta di più,va sottolineato quanto manchi oggi questo tipo di cinema medio.

giovedì 4 ottobre 2012


THE WORDS (The words,USA 2012)
DI BRIAN KLUGMAN e LEE STERNTHAL
con BRADLEY COOPER,Zoe Saldana,Dennis Quaid,Jeremy Irons.
DRAMMATICO
Lo spunto era interessante,un intreccio tra realtà e finzione,o meglio,tra fatti e racconto,tra verità e versione romanzata della stessa,giocato su più piani narrativi,in cui si è portati ad addentrarsi in ognuna delle storie narrate:se la formula riesce,si può arrivare alti con un'architettura del genere,ma non è facile,e se qualcosa va storto,a sgonfiarsi,l'intera costruzione ci mette poco."The words" è la storia di due scrittori,uno di successo e navigato che racconta un romanzo di propria creazione,a proposito di un "collega" che,venuto in possesso per caso di un manoscritto ne fa il proprio romanzo d'esordio,e trova un insperato successo che porta la sua vita a nuova luce,salvo essere raggiunto da colui che scrisse tali pagine e vedere ogni cosa realizzata messa in crisi dai sensi di colpa.Diretto da due registi esordienti,il film sta a metà tra il thriller e il melò puro,anche troppo:per quanto riguarda il primo genere,lascia insolute troppe cose e troppi interrogativi,compreso un finale tronco che,va bene essere a volte motivo in più di fascino misterioso,ma si rimane più perplessi che altro.Mentre sul cotè sentimentale ci si abbandona fin troppo ad un'atmosfera patinata,con citazione della scena del tram del "Dottor Zivago",pure,che in qualche momento diventa stucchevole.Corredato da un cast di attori altrove più convincenti,il film è vedibile,ma si perde in troppi discorsi senza arrivare mai al punto.Il che,anche letterariamente parlando,non è un bene.

mercoledì 3 ottobre 2012


I DUE COLONNELLI (I,1962)
DI STENO
Con TOTO',WALTER PIDGEON,Scilla Gabel,Nino Taranto.
COMMEDIA
Quasi rispondendo a "I due nemici" con Sordi e Niven sotto bandiere diverse che simpatizzavano,nonostante la guerra e si salutavano con evidente simpatia pur in condizioni opposte nel finale,ecco Steno contrapporre Totò a Walter Pidgeon in vesti di alti ufficiali che si scontrano in terra di Grecia,oltre che sul fronte,ma sempre bonariamente,e pure nel letto di una  bella paesana (una Scilla Gabel autentica bomba sexy),e si prendono addirittura prigionieri a vicenda,ma trovando modo di affezionarsi l'uno all'altro,scavalcando etica di grado e protocollo militare,con un finale in cui l'italiano,caduto nelle grinfie degli ex-alleati tedeschi,dopo essersi ribellato ad un ordine inumano (la celeberrima scena della "carta bianca"),viene messo al muro insieme ai commilitoni,con sorpresa negli ultimissimi minuti di pellicola. Steno era abile,ma questo film gli è riuscito fino ad un certo punto,la celebrazione degli "italiani brava gente" è cosa vista e rivista sullo schermo,ma qui il sospetto di latente celebrazione delle virtù del soldato italico,inadatto a trovarsi fianco a fianco con la spietatezza dei teutonici,è sostanzioso,e condotto con compiacimento.In più,le occasioni di divertimento sono rade,e se Pidgeon presta una divertita partecipazione,Totò viaggia anche troppo sopra le righe,recitando più con i pugni e strillando per tutto il film,forse per sottolineare la diversità dall'inglese per maggiore passionalità e impeto.Citato in una famosa sequenza di "Sapore di mare",in omaggio al cinema paterno dai figli Carlo ed Enrico Vanzina,non è uno dei titoli memorabili di Totò,anche se si lascia vedere.

REALITY (I,2012)
DI MATTEO GARRONE
Con ANIELLO ARENA, Loredana Simioli,Nando Paone,Nunzia Schiano.
GROTTESCO
La polemica,giustificata,sugli eccessivi rimandi della distribuzione circa titoli interessanti per il grande pubblico che ha visto "Il cavaliere oscuro-Il ritorno","Prometheus","Ribelle-Brave" saltare l'estate per trovare programmazione a Settembre ha coinvolto anche "Reality",nuovo lavoro di Matteo Garrone a quattro anni dopo il grande risultato,anche commerciale,di "Gomorra",e oggi si parla di parziale fiasco dell'ultimo lungometraggio del regista.Fare confronti con un film che in quel momento godeva del "traino" di uno dei casi letterari degli ultimi dieci anni è abbastanza incauto,e lo stesso autore ha messo le mani avanti dicendo che voleva fare una pellicola più leggera,meno impegnativa,e poi il discorso gli è cambiato tra le mani:qui si comincia con una visione sognante,una carrozza con tanto di cavalli ammaestrati a portare due sposi entrambi in bianco,e si finisce con un non-luogo,la Casa del Grande Fratello a Cinecittà,traguardo ambitissimo finalmente raggiunto dal protagonista.Il quale ha mandato a monte tutto,equilibrio mentale,lavoro,famiglia,interessi,per aspettare la chiamata e partecipare al programma televisivo ispiratore di tutti i "reality show",per conoscere la "svolta",guadagnare una fama improvvisa e premiare il proprio latente narcisismo.Garrone ha buona mano sia nel dirigere interpreti improvvisati che d'esperienza,e probabilmente "Reality" è un film che può acquistare potenzialità in futuro,quando,speriamo,che l'onda di una televisione più vuota che mai,atta a fingere di premiare signori Nessuno in realtà spesso scarti di provini  e spettacoli vari,tutto sommato per girare spettacoli a basso costo e spacciarli per intrattenimento da prima serata.Però "Reality" vive di pezzi di altri film,l'ossessione crescente del personaggio principale è la veste rivoltata di "Truman show",e il segno di uno squilibrio mentale raggiunto donando ogni cosa a miserabili d'ogni tipo proviene da "Teorema " e "Cuore sacro":su tutta l'operazione aleggia un fellinismo rimarcato (vedasi la scena della discoteca,con il "divo" napoletano del Grande Fratello che dondola su mani tese a cercare di toccare con mano quello che ha realizzato un sogno,puerile quanto si voglia,ma anche la sterminata fila di ceri accesi nel prefinale sotto il Papa),che visto anche in chiave di omaggio al Maestro riminese,che riconobbe la cialtroneria scintillante di tanta tv molti anni or sono, rende questo lungometraggio interessante,meno lugubre di altri momenti del cinema di Garrone,ma su un grottesco puro l'amico e collega Sorrentino sa imprimere più forza alle proprie caricature.

lunedì 1 ottobre 2012


I BAMBINI DI COLD ROCK (The Tall Man,CAN/F 2012)
DI PASCAL LAUGIER
Con JESSICA BIEL. Jodelle Fernand,Stephen McHattie,Samantha Ferris.
THRILLER
C'è da dare atto a "I bambini di Cold Rock" che,prima di arrivare ad una conclusione ove il film sfuma gran parte della tensione accumulata per diventare un thriller quasi politico nel teorema che dipinge nella conclusione,una lettura che va oltre il genere per divenire uno spettro di una certa realtà in cui sarcasmo spinto a mille e insieme suggerire che "dentro" la realtà quotidiana operino forze segrete capaci di disegni incredibili,che optano a mutarla per sempre per alcuni,riesce a frastornare lo spettatore.Perchè si giunge ad un punto,oltre la metà della proiezione,in cui il ribaltamento di ciò che abbiamo assistito fino a quel momento (e si badi,si parte da una ricostruzione di quasi tutto il racconto svolto),in cui si fatica a capire chi sia chi,come mai agisca come fa,e chi è davvero nel giusto:terza pellicola del francese Pascal Laugier,che fece discutere assai con l'horror spinto e sanguinario,ma anche quello ramificato in chiave sociologica di "Martyrs","The Tall man" racconta di una periferia d'America desolata,che vede scorrere nel nulla vite perse,"white trash" ai margini,a caccia dell'ennesima sbronza,famiglie tenute insieme in quadretti di violenza domestica sconfortanti,eppure irremovibili nella loro non-logica quotidiana:qualcuno ha fatto sparire diciassette bambini,il luogo non ha neanche un dottore fisso,ma un'infermiera vedova del medico che assisteva gli abitanti di Cold Rock,nella cui casa entra l' "Uomo Alto",leggendaria figura e versione dark e macabra del pifferaio di Hamelin,che si porta i bambini nel buio dell'interno della montagna.Coprodotto anche dalla protagonista Jessica Biel,che si abbrutisce e rende scialba per impersonare al meglio il personaggio principale,arrivando a presentarsi parzialmente sfigurata dopo un incidente,il film in alcuni momenti giunge ad essere ad un passo dal trasformarsi in un grande horror, però preferisce sposare la tesi del messaggio che rivolge,nel finale,direttamente al pubblico,ed in questo caso manda molta della verosimiglianza del racconto all'aria.Però non mi stupirei se in futuro il nome di Laugier fosse maggiormente in voga ed atteso come un autore di spicco a nuove prove, perchè sa gestire ritmo e tensione,scandaglia le dimensioni psicologiche dei personaggi e sa giocare a rimpiattino con le aspettative del pubblico,e ha perlomeno l'audacia di provare a leggere la società con i filtri del cinema di genere,cosa che di solito viene riconosciuta ai cineasti popolari riconosciuti registi di serie A con molto senno di poi.