domenica 25 maggio 2014


LONE SURVIVOR (Lone survivor,USA 2013)
DI PETER BERG
Con MARK WAHLBERG,Taylor Kitsch,Emile Hirsch,Ben Foster.
GUERRA
Qua da noi,e fuori dagli Stati Uniti in generale,ha avuto un riscontro non esaltante,ma in patria "Lone survivor",ispirato ad una vera azione di guerra del 2005,che vide un commando di Navy Seals americani,in Afghanistan,cercare di abbattere un leader talebano e invece ritrovarsi in territorio nemico,con la missione andata a monte e circondati di guerriglieri nemici,è stato un grande successo.Che Peter Berg sia un regista connotato ideologicamente a destra,così come lo è sempre stato John Milius (ma era più anarcoide),ormai l'hanno capito anche i sassi:è vero anche,però,che l'ex-attore sa il fatto suo nel girare le scene d'azione,e sa sviluppare una suspence come pochi altri."Lone survivor" è un'opera di propaganda a stelle e strisce,colma di testosterone e retorica reaganian-bushiana,in cui gli Stati Uniti sono l'Impero del Bene e della Libertà,e questo gli gioca a sfavore,decisamente:tuttavia,difficile negare che lo spettatore non venga coinvolto nella lunga sequenza,da metà pellicola in poi,dello scontro con i talebani nella foresta,e nella disperata lotta dei quattro soldati per sopravvivere e non essere sopraffatta.E c'è da dire che Berg sottolinea che gli estremisti ci siano tra i soldati americani (e infatti il punto di vista del protagonista,Mark Wahlberg,è meno spietato di alcuni commilitoni) e tra gli afghani,ci sono anche oppositori degli integralisti.Difficile avere a che fare con un film come questo:perchè viene da deprecare la dimensione reazionaria della cornice e apprezzare sia la buona qualità delle sequenze d'azione,che il messaggio  di solidarietà tra esseri umani di diversa provenienza,contro l'orrore della violenza al servizio dell'ideologia fatta di assoluti.Come quell'abbraccio tra uomo e bambino in sottofinale,e il ringraziamento del soldato ai suoi salvatori,toccante e commovente,che stride con l'inzuppata di rassicurazioni sulla macchina da guerra americana protettrice dei suoi pargoli in uniforme e del mondo libero.Nel cast,buone le interpretazioni degli attori principali,cinque tra i volti sotto i quarantacinque anni più interessanti del cinema USA di oggi,e nota di merito in più per Mark Wahlberg che,film dopo film,ha mostrato grosse capacità di miglioramento.

sabato 24 maggio 2014


GODZILLA (Godzilla,USA 2014)
DI GARETH EDWARDS 
Con AARON TAYLOR-JOHNSON,Ken Watanabe,Bryan Cranston,David Strathairn.
FANTASCIENZA
Dopo la non convincente rinascita del 1998 sotto la regia di Roland Emmerich,e nonostante il remake di "King Kong" del 2005 non avesse raccolto i risultati commerciali sperati (ma resta un film notevole), ecco una nuova versione di "Godzilla",affidata all'emergente Gareth Edwards.Si sa che il mostro anfibio non è mai stato così grande,che l'esordio USA è stato più che incoraggiante,con 93 milioni incassati nella prima settimana di programmazione,e che il kolossal è dalla parte del dinosauro atomico,e che non è facile dire qualcosa di nuovo su una creatura che è un'icona non solo cinematografica,e abbiamo visto in più salse,spesso da amatori duri e puri."Godzilla" versione 2014 elude la presenza della creatura,per metà film vediamo le conseguenze dei suoi passaggi,si parla della sua esistenza ma non appare,viene rivelato a poco a poco quel che i personaggi della storia conoscono del mito della grande lucertola venuta dal mare:i mostri veri sono degli esseri colossali,figli della radiazione,insettiformi,che distruggono ogni cosa per ricongiungersi e dare il via ad una nuova stirpe di giganti che domineranno il pianeta,ma la Natura conosce gli equilibri meglio delle imposizioni che l'Uomo è uso dare a ciò che lo circonda,e Godzilla si rivelerà un alleato impensabile.Il nuovo azzeramento della saga del dinosauro marino che Ishiro Honda portò sullo schermo per primo è un blockbuster d'autore che forse scontenterà le generazioni abituate ai ritmi degli sparatutto e dei videogames più recenti:si prende i suoi tempi,con una prima parte che esplora ciò che sta in tensione per l'avvento delle creature,e una seconda che mette in scena gli scontri,ma con rarefazione,tra buio,polvere e lampi di luminosità,quasi una graphic novel in movimento.Edwards mostra di amare e avere mandato a memoria tanto cinema spielberghiano,tra il nome del protagonista Brody,il passaggio di Godzilla sotto gli umani,come "Lo squalo",il tempo che serve ad aumentare la suspence e a centellinare le apparizioni mostruose,la zona contaminata che si rivela invece una bugia come in "Incontri ravvicinati":e poi cita se stesso,vedere la sequenza in cui i due mostri radioattivi si incontrano e scambiano effusioni,come accadeva nel suo titolo precedente,"Monsters".Ben costruito ed ecologista,il nuovo capitolo di una saga ormai data per estinta sembra portare linfa nuova,ed è probabile che abbia tutte le credenziali per diventare,tra qualche anno,un nuovo classico.

venerdì 23 maggio 2014


PAURA NELLA CITTA' DEI MORTI VIVENTI
(I,1980)
DI LUCIO FULCI
Con CATRIONA MACCOLL,CHRISTOPHER GEORGE,Carlo De Mejo,Janet Agren.
HORROR
All'epoca uscivano in sale praticamente deserte,in una programmazione estiva alle porte o agli sgoccioli di una stagione cinematografica,e nel tempo sono divenuti veri e propri oggetti di culto,gli horror estremi italiani:di Lucio Fulci,Aristide Massaccesi,e altri,però contano sia tra i cinefili "comuni" che tra i recensori delle generazioni dai cinquanta in giù molti fans,e giudizi entusiasti."Paura nella città dei morti viventi" doveva intitolarsi solo "Paura" (ed era meglio,perchè il titolo in sè è già abbastanza grottesco...) prevede che in una cittadina spettrale,sorta sulle ceneri di Salem,ove la stregoneria fu il motivo per cui ancora la si ricorda oggi (più che altro per le leggende,e per l'ignobile sorta di inquisizione neocoloniale che prese campo),un prete si impicchi e dia il via a fenomeni orripilanti,fino a far resuscitare cadaveri feroci,che si rivelano dei veri e propri "strizzacervelli",chi ha visto il film capirà cosa voglio dire.Celeberrimi i dilemmi sulle immagini finali di questa pellicola,con lo schermo che si lacera,dopo un provvisorio rasserenarsi della trama,un bambino che corre verso l'obiettivo della macchina da presa ed un grido di donna si alza,a chiudere il racconto,così come lo aveva iniziato;a parte che potrebbe essere anche un'idea registica,resta il fatto che è uno dei titoli più sopravvalutati di quella corrente orrorifica di cui sopra.Scene shock,pance squarciate,interiora che debordano,teste sfondate,un'invasione di zombie miseranda (saranno sette o otto in tutto,va bene il "low budget",però...),ambulanze che vanno via a sirene spiegate dopo aver raccolto morti fatti a pezzi.E vogliamo parlare dei dialoghi?Di pura circostanza,e il tormentone che quasi tutti i personaggi rivolgono a qualcun altro è "Si calmi ora...":certo,visto l'ambientino è una giusta precauzione.Fulci è stato un artigiano estroso,che nonostante la scarsità di mezzi ha realizzato anche cinema che ha colpito nel segno,ma qui siamo alle prese con una sceneggiatura messa insieme malamente intorno alle sequenze in cui si voleva scavalcare il limite del mostrabile,del ributtante a tutti i costi,siamo onesti.

giovedì 22 maggio 2014

BAGDAD CAFE' ( Out of Rosenheim,D 1987)
DI PERCY ADLON
Con MARIANNE SAGEBRECHT,Cch Pounder,Jack Palance.

COMMEDIA

Percy Adlon realizzò delle piccole commedie d'essai che piacquero non poco alla critica a cavallo tra gli anni Ottanta ed i Novanta,come "Rosalie va a fare la spesa",ma il suo titolo di maggior successo è stato senza dubbio "Bagdad cafè",ambientato in una sperduta località texana,in cui in mezzo al niente del deserto sorge una sgangherata caffetteria-tavola calda condotta da una nera delusa dalla vita,con figli a carico che gestisce a malapena,un bizzarro pittore che vive in una roulotte che rivelerà un animo gentile nonostante l'aspetto di cuoio (è Jack Palance....),dove arriva per uno dei bizzarri casi della vita la tedesca in carne Jasmine che dopo qualche contrasto iniziale,porterà vivacità,allegria ed un pò di magia nel "Bagdad cafè".Poi la legge anti-immigrazione la costringerà a salutare la compagnia,scaduto il visto di soggiorno,ma volendo si può ritornare nei posti amati e chissà... Favola autodenunciata già dai titoli,la commedia spesso mostra un boomerang che si staglia su tramonti di fuoco,quasi a dire che è impossibile fuggire veramente dalla felicità,o da ciò che ci rende più vivi:ben recitato e condotto ad un passo morbido ma costante,è un film brillante che trasuda serenità e si chiude su un ultimo dubbio,di fronte ad una proposta di matrimonio inaspettata. Sulle note di "Calling you",bella canzone divenuta hit di quegli anni,si celebra una ricerca di una casuale voglia di vivere meglio che viene volentieri condivisa dallo spettatore.
LA DAMA ROSSA UCCIDE SETTE VOLTE ( I,1972)
DI EMILIO P.MIRAGLIA
Con BARBARA BOUCHET,UGO PAGLIAI,Marina Malfatti,Sybil Danning.
THRILLER
Mario Bava in Italia era un regista acclamato all'estero,ma da noi continuava ad essere considerato un talento che si intestardiva a girare film di serie B,e Dario Argento era appena esploso con tre grandi successi inanellati in due stagioni:fioccavano così imitazioni e gialli dietro uno l'altro a spaventare il pubblico.Ci fu anche "La dama rossa uccide sette volte",che trasmettevano spesso d'estate negli anni Ottanta,girato interamente in Germania,con cast quasi per intero italiano.Il prologo spiega che una leggenda vuole che due sorelle abitanti un castello erano in conflitto tra loro,ed una delle due uccise l'altra,e pare che il quadro che le ritrae abbia un influsso maledetto,che fa sì che ogni cento anni la storia si ripeta.Le due sorelline che vediamo all'inizio azzuffarsi,un quindicennio dopo,si ritroveranno in una vicenda sanguinosa in cui una donna di rosso vestita uccide con un pugnale (e non solo):il film,dei coevi prodotti del genere,non è dei peggiori,decoroso nell'impianto,non recitato male e neanche scritto pedestremente,come altri invece risultavano. Ha una prima parte che intriga abbastanza,però scivola nel finale verso una soluzione dell'enigma un pò banale,che smorza l'effetto sullo spettatore,il quale viene deluso dallo scoprire che chi si cela sotto la cappa dell'assassina è la più scontata delle ipotesi che poteva aver fatto.La sensualità di Sybil Danning,femme fatale della storia,è abbondante,ed al regista piace mostrarla senza veli,mentre la Bouchet ha un solo nudo e ha un'espressione atterrita per quasi tutto il film:meno efferato di altri titoli analoghi,ha un omicidio particolarmente cruento che riguarda un personaggio che viene fatto cadere sulle punte di un'inferriata,però se di paura ne suscita poca,è altrettanto vero che non affonda nel ridicolo.
IL DELITTO MATTEOTTI ( I,1973)
DI FLORESTANO VANCINI
Con MARIO ADORF,RICCARDO CUCCIOLLA,GASTONE MOSCHIN,FRANCO NERO.
DRAMMATICO/STORICO
L'agguato infame che praticamente dette il "la" alla dittatura fascista in Italia,e tolse di mezzo il deputato socialista Giacomo Matteotti è raccontato con dovizia di particolari da Florestano Vancini,regista impegnato oggi poco ricordato:i fatti,dall'arringa nel parlamento già inquinato dall'omertà di molti verso il regime crescente di Benito Mussolini,all'espandersi dello squadrismo come regola vigente per mantenere il potere. Molti nomi noti nel cast,dal Franco Nero di Matteotti,al Mario Adorf-Mussolini,ricordando anche il Gramsci di Riccardo Cucciolla ed il Turati di Gastone Moschin:Vancini e la sceneggiatura imputano all'errata linea politica dei socialisti molte responsabilità circa il trionfo del Fascio Littorio,e da un punto di vista storico è ben sottolineata la circostanza del Duce ricattato dalle Camicie Nere,dato che la storia d'Italia è zeppa di situazioni analoghe,con scherani che mettono con le spalle al muro gli apparenti uomini di potere.Il film spiega bene le cose,anche se il rischio-didascalismo non sempre è evitato,e Vancini in alcuni momenti pare concentrarsi molto su alcune cose,magari più del dovuto.Come documento per riflettere ed analizzare una fase terribile della nostra Storia "Il delitto Matteotti" è un film da far vedere ai ragazzi che vanno alle scuole dell'obbligo,ove difficilmente si va oltre la Prima guerra mondiale ,come film drammatico è valido,anche se qualche sforbiciata qua e là avrebbe giovato.
MADE IN ITALY ( I,1965)
DI NANNI LOY
Con ALDO FABRIZI,NINO MANFREDI,ALBERTO SORDI,ANNA MAGNANI.
COMMEDIA

La satira sui mille vizi e difetti degli italiani travolti dall'effetto del Boom fu fautrice di tanto ottimo cinema brillante coevo,ispirando menti attive e capaci di una salutare ironia che dipinge bene i riflessi di questa celebratissima "golden age" italica:con sceneggiatura di Scola e Maccari,uno dei migliori abbinamenti per stendere una sceneggiatura dell'epoca,Nanni Loy girò un film con una trentina di episodi,qualcuno più esteso,altri di pochissimi minuti per pennellare vari tipi italici e cercare di descrivere quel momento nazionale con la forte tentazione di riderne. Al di là della pretenziosità di fondo,perchè trenta segmenti sono troppa roba per chiunque,quella di "Made in Italy" è una satira che non morde,non punge,non fa effetto,le occasioni di divertimento,nonostante la professionalità del cast,sono scarse,ed il quadro generale lascia la sensazione di troppi spunti mal sfruttati. Tra i vari episodi,non male quello della Magnani che con famiglia appresso cerca di uscire la domenica scampando al traffico letale,ma è un pò tirato per le lunghe,così così quelli di Chiari seduttore bugiardo e Manfredi malcapitato nelle grinfie della pubblica amministrazione,abbastanza simpatico quello con Sordi marito fedifrago che rivolta la frittata facendo la vittima.Ma il migliore,e più amaro,è quello che vede Aldo Fabrizi padre speranzoso per la carriera del figlio laureato,mal ripagato dall'aver viziato troppo il ragazzo,che non ne azzecca una per eccessiva fiducia in se stesso.Non uno dei migliori film ad episodi usciti in quegli anni,nonostante le premesse.
JOHNNY GUITAR (Johnny Guitar,USA 1953)
DI NICHOLAS RAY
Con JOAN CRAWFORD,STERLING HAYDEN, Ward Bond,Mercedes McCambridge.
WESTERN
Western considerato a parte,e forse giustamente,dagli appassionati del genere,"Johnny Guitar" vede un conflitto di femmine forti ,con gli uomini che seguono il corso delle cose,ma, contrariamente alle norme tipiche del mondo del West,non incidono in fondo nella vicenda narrata. Vienna, una donna matura con un passato burrascoso,riuscita ad aprire un saloon in una zona nella quale sorgerà una stazione e quindi un centro abitato,e quindi guadagni, viene assediata dai possidenti locali che non intendono lasciare nemmeno una briciola ad altri,capeggiati da un'Erinne che sorride di livore e freme di odio,che ha puntato come obiettivo da annientare la protagonista. Il cowboy suonatore Johnny Guitar,che nasconde molto,ingaggiato da Vienna rivaleggia con "Ballerino" Kid per le grazie della proprietaria del saloon,ma anche questo scontro verrà risolto senza che i due uomini si affrontino mai.La regia di Ray si divide tra una prima parte ambientata quasi per intero nel saloon,dove si sfidano le fazioni in lotta,più di due,e una seconda più "tradizionale", con cavalli,colpi di pistola,impiccagioni e fucili. Lo sguardo fiammeggiante di Joan Crawford,in una delle sue più interpretazioni più intense, alimenta il lato mèlò della pellicola,mentre Sterling Hayden dà fisicità ad un ruolo in cui non avrebbe sfigurato Robert Mitchum,di antieroe indolente anche se avrebbe le potenzialità per vincere i conflitti:un film fatto anche di colori saturi e in cui neanche la risoluzione finale della sparatoria assomiglia ai canoni del cinema di Ford,Hawks e Leone.
UN EROE DEI NOSTRI TEMPI ( I,1955)
DI MARIO MONICELLI
Con ALBERTO SORDI, Franca Valeri,Giovanna Ralli,Mario Carotenuto.
COMMEDIA

Alberto Sordi già da oltre un decennio era nel mondo dello spettacolo,e da una manciata di anni aveva iniziato ad interpretare film da protagonista,e Mario Monicelli proveniva da una pellicola che gli aveva dato diversi problemi con la censura come "Totò e Carolina":la storia di un impiegato scapolo e molto pavido,che si fa tremila problemi per compiere qualsiasi azione è molto adatta alle corde interpretative del grande attore romano,ed infatti l'attore coglie l'occasione per un campionario folto delle facce stravolte,le facili esuberanze e gli altrettanto forti imbarazzi della propria maschera.Il film invece non si scrolla da un'aria di superficialità che lo attraversa per intero:la storia di un grigissimo giovanotto che non fa niente che lo distingua,e che sia pieno di assurde paure del vivere poteva essere interessante,e nelle mani di un maestro della commedia italiana più sapida poteva rivelarsi una lettura del tempo non indifferente. Non mancano,certo,i momenti in cui si sorride,grazie alla bravura degli interpreti (da menzionare un'agguerrita Tina Pica ed un quasi esordiente Bud Spencer,ancora Carlo Pedersoli,robusto fidanzato della Ralli che aspetta il protagonista sotto al portone di notte),l'abilità della regia,ma sa di occasione mancata.
RISO AMARO ( I, 1948)
DI GIUSEPPE DE SANTIS
Con SILVANA MANGANO,DORIS DOWLING, Raf Vallone, Vittorio Gassman.
DRAMMATICO

Erotismo piuttosto marcato, soprattutto per l'epoca in cui fu realizzato, clima da noir rurale e quadruplo confronto armato tra due donne e due uomini nelle risaie piemontesi del dopoguerra:"Riso amaro", titolo dal senso sia letterale che figurato, arriva appena prima del Neorealismo, influenzato sia dal cinema sovietico sul lavoro che da quello americano con drammi screziati di nero tratto da libri alla McCain. Oltretutto, l'intreccio prevede sia che i personaggi principali risultino comunque ognuno a modo suo calcolatore, in alcuni frangenti, e quindi del tutto positivi, sia una comunità femminile con sfide al proprio interno,ma che quando conta sa tirare fuori una solidarietà uniforme,compatta. De Santis dona al film una mano registica ispirata,moderna, con conduzione forte degli interpreti:i quali intraprendono la loro danza di seduzione e morte tradendosi e incolpandosi, cambiando alleanze e prospettive. Se Doris Dowling incarna una donna non pulita, ma alla fine segnata dall'onestà, Raf Vallone è un potenziale avventuriero che incarna il "buono", ma sentimentalmente gioca ambiguo,mentre il villain è un Vittorio Gassman maligno e strafottente. Sulla presenza della Mangano si è detto di tutto, resta una vera icona dell'eros e della femminilità del cinema italiano, qui giovane e formosa, comunque stupenda e seducente ragazza avvezza ad innamorarsi dei ribaldi.
OMBRE ROSSE ( Stagecoach, USA 1939)
DI JOHN FORD
Con JOHN WAYNE , Claire Trevor, John Carradine, Thomas Mitchell.
WESTERN


Il capostipite del western, con molti degli archetipi sul quale il cinema di tale genere è fondato, è questo : John Ford mette insieme racconto avventuroso,psicodramma in movimento, ironia e antiperbenismo, in un lungometraggio-modello .Certo, le oltre sessantacinque primavere della pellicola in qualche momento si fanno sentire, e se si vuole quella colonna sonora onnipresente , in certi momenti in cui sono i dialoghi la cosa importante, risulta piuttosto fuori luogo : ma possono bastare l'entrata in scena di John Wayne, lo spettacolare assalto degli indiani alla diligenza, e i rapporti tra i personaggi, ora conflittuali, ora di pura solidarietà umana, per rendere "Ombre rosse" un titolo da cineteca per tutte le stagioni.E lo sguardo indulgente, di simpatia vera, del regista per quelli che solitamente sono gli emarginati ( l'ex-prostituta, il fuorilegge, l'alcolista) aumenta l'apprezzabilità del lavoro fordiano:interpreti tutti all'altezza, ma svetta Thomas Mitchell nel ruolo del dottore troppo avvezzo alla bottiglia.

ANIMAL KINGDOM (Animal Kingdom,AUS 2010)
DI DAVID MICHOD
Con JAMES FRECHEVILLE,JACKI WEAVER,Ben Mendehlson,Guy Pearce.
NOIR
Ben accolto da molti recensori,passato un pò alla chetichella nelle sale,"Animal Kingdom" è uno dei noir di cui si è molto parlato negli ultimi cinque anni,uno dei lampi con cui ogni tanto il cinema "aussie" si rifà vivo.Un dramma criminale,ispirato ad un vero fatto di cronaca nera,che narra i meccanismi perversi di una famiglia marcia,di delinquenti dalle varie attività illegali,dominata da una matriarca che bacia sulla bocca la progenie in una sarabanda dalle radici che più edipiche non si può:protagonista il giovane Josh,che apre la storia telefonando alla "nonnina" comunicandole la morte per overdose della propria madre,e di lei figlia,e si unisce quindi ai congiunti,che tra una rapina e un omicidio sembrano una versione degli antipodi,e più "reale" della trista famigliola di "Non aprite quella porta".Il film si permette di utilizzare l'attore più noto,Guy Pearce,in un ruolo di fianco,quello del poliziotto che cerca di tutelare il ragazzo nonostante l'indole lo porti a comportarsi male,e a creare un incastro di azioni destinate a causare dolore e rovina,e tuttavia assembla un cast intenso,in cui Jacki Weaver,nei panni di un'epigona di "Ma' Barker" esprime una malvagia quasi elisabettiana,capace di chiamare "tesoro" chiunque e di organizzare un delitto nello stesso tempo.Il regista David Michod mostra buona mano di narratore,anche se talvolta si dilunga su certi particolari e tira via su snodi anche importanti della trama.Senza scomodare l'antropologia criminale di Martin Scorsese,si può dire che questo lungometraggio narra assai bene certe dinamiche perverse,con uno studio del brutale e del feroce nel quotidiano di personaggi come quelli narrati,probabilmente non lontani da gente come camorristi e altro,che hanno un'idea molto pratica della violenza,e della tendenza alla ferocia di certi aspetti umani.

THE WAY BACK (The way back,USA 2010)
DI PETER WEIR
Con JIM STURGESS,ED HARRIS,SAOIRSE RONAN,COLIN FARRELL.
DRAMMATICO/AVVENTURA
Ispirato ad una storia vera,"The way back" narra la fuga da un gulag siberiano di un gruppo di reclusi per vari motivi,comunque invisi al regime sovietico tra fine anni Trenta e l'inizio dei Quaranta:sette uomini più una ragazza che incontreranno nella taiga più tardi,per un viaggio in cui solo il cammino potrà portarli verso la libertà.Naturalmente non tutti riescono nell'intento,il freddo,la fame,la salute claudicante e altri problemi si porteranno via il più dei fuggiaschi.Curioso,e anche discutibile,che un film di un autore molto amato dalla critica,e spesso anche baciato dal consenso delle platee,non sia stato neanche distribuito in sala,eppure "The way back" non è mai uscito nei nostri cinema.Vero che è un lungometraggio crudo,a tratti sgradevole,e che forse non avrebbe raggiunto cifre clamorose al botteghino,ma rimane,con tutti i difetti che gli si possono riscontrare,una pellicola d'autore che guarda anche al pubblico.E' stato contestato che lo script sia romanzato,e non del tutto veritiero sull'odissea tragica dei fuggitivi:qualche momento di stanca,a livello cinematografico,si percepisce,e tuttavia nello spettatore sorge naturale un moto di pietà per il coraggio con cui viene affrontato un viaggio quasi distruttivo,di 6500 kilometri a piedi,tra gelo e calura desertica.Weir sceglie di concludere la pellicola con un abbraccio ed un perdono,nonostante gli anni intercorsi,i soprusi della Storia sugli uomini (però in effetti il sunto di quel che è stata la Cortina di Ferro,al di là della faziosità che contraddistingue anche il copione,è proprio miserello...),sottolineando l'empito di umanesimo,per quanto scabro,dell'opera.Cast ben allestito,con un Ed Harris dalle molte sfumature su tutti,e Saoirse Ronan che ricorda,una volta ancora,di essere tra le migliori attrici dele nuove generazioni.

martedì 20 maggio 2014


UNA STORIA SEMPLICE (I,1991)
DI EMIDIO GRECO
Con RICKY TOGNAZZI,GIAN MARIA VOLONTE',MASSIMO GHINI,ENNIO FANTASTICHINI.
GIALLO
Da Leonardo Sciascia,uno dei tentativi di ripristinare la stagione del cinema impegnato in Italia,che comunque nella prima metà degli anni Novanta,ad onor del vero,lanciò numerosi lungometraggi,che purtroppo non incontrarono fortune commerciali.Sceneggiato da Andrea Barbato,grande giornalista che oggi viene citato troppo poco,assieme al regista Emidio Greco,"Una storia semplice" narra un intrigo di delitti in Sicilia,apparentemente scollegati,che solo nelle ultimissime immagini troveranno scioglimento,per lo spettatore.Greco,purtroppo,non imprime respiro al racconto,dirige diligentemente gli attori,e mostra di avere più sicurezza come sceneggiatore che come regista.Con un cast di prim'ordine,che raduna Gian Maria Volontè,all'epoca con già pesanti problemi di salute,Massimo Ghini,Massimo Dapporto,Ricky Tognazzi,Ennio Fantastichini,Omero Antonutti,Macha Meril,un giallo interessante ,che presenta vari elementi che avrebbero meritato altro sviluppo,vedi il duello tra le scrivanie,ma il tutto è realizzato con un piglio paratelevisivo (che comunque,in quegli anni,sembrava andare per la maggiore soprattutto da noi) che ne riduce non poco le possibilità di restare nella memoria del pubblico. Pessimista lucido e sapido,Sciascia seppe raccontare la "sicilianizzazione" d'Italia come forse nessun altro,la complessità di un mondo in cui dietro la superficie delle cose c'è un'altra dimensione inafferrabile come il volo di un rapace e intricata come un groviglio di rovi.Meriterebbe una rilettura con altri volti,altri registi e magari rifacimenti,per i più giovani, che i produttori però dovrebbero avere il coraggio di mettere insieme:potrebbe essere un'idea valida.

domenica 18 maggio 2014


THE IRON LADY (The Iron Lady,GB 2011)
DI PHILLYDA LOGAN
Con MERYL STREEP,Jim Broadbent,Anthony Head,Olivia Colman.
BIOGRAFICO
La vicenda politica e umana di Margaret Thatcher,appunto la "Lady di ferro",come venne battezzata,prima donna a diventare primo ministro britannico,in carica dal 1979 al 1990:una conservatrice solida e senza sconti nè agli avversari di colori opposti,nè a quelli interni al proprio schieramento.Le Falkland,la crisi economica di fine anni Settanta,l'avvento di un alleato dalle idee comuni come Ronald Reagan,i cambiamenti nell'Est dominato dall'Unione Sovietica.E oltre a questo,alla facciata ufficiale,il cosmo privato di "Maggie",con una vecchiaia caratterizzata dall'Alzheimer,la lucidità che va e viene ad intervalli irregolari.Phillyda Logan richiama Meryl Streep,con la quale si era trovata evidentemente benissimo nel grande successo "Mamma mia!",e le affida il ritratto di una donna fiera,pugnace e comunque la si guardi,importante storicamente per il Dopoguerra.La Thatcher ha avuto molti sostenitori,e ancor più detrattori,sia in Gran Bretagna che fuori,e non è semplice analizzare un periodo storico a breve distanza di anni.La Streep,pur più aggraziata della governante inglese,ne dà un'interpretazione a più strati,capace di passare dalla protervia offerta in sedi politiche allo spaesamento della malattia,e questo le è valso il terzo premio Oscar vinto nella sua carriera:Jim Broadbent interpreta il marito della Thatcher,in carne e ossa,e in presenza eterea,cui si rivolge nelle fasi in cui la mente della protagonista lo ricrea per non cedere al trauma della solitudine.La Logan guarda con malcelata simpatia ,più umana che politica,alla leader,e forse è questo che rende "The Iron Lady" un film meno riuscito di quanto avrebbe potuto essere.Seppure sia da apprezzare la chiave con cui si è scelto di narrare l'avventura di statista e di donna paradossalmente di radici conservatrici eppure destinata a sfondare la tradizionale barriera invisibile dei poteri negati al mondo femminile,il lungometraggio è ben fatto,interpretato con professionalità e intensità,ma resta,alla fine,un vago sospetto di agiografia che smorza non di poco gli entusiasmi.

giovedì 15 maggio 2014


ROBOCOP (Robocop,USA 2014)
DI JOSE' PADILHA
Con JOEL KINNAMAN,Abbie Cormish,Gary Oldman,Michael Keaton.
FANTASCIENZA/AZIONE
Sta andando di moda "rifare" i classici anni 80,vedi i nuovi "Karate Kid","Nightmare",e anche un classico della fantascienza dell'epoca,"Robocop" ha avuto il suo remake.La storia dell'agente Murphy,caduto in servizio e resuscitato per diventare il prototipo del nuovo poliziotto,per tre quarti automa e per uno umano,viene rivisitata seguendo inizialmente il canovaccio originale,differenziando poi via via,durante il racconto,diverse cose:per esempio,Robocop prima versione con la famiglia di Murphy non aveva possibilità di interagire,mentre qua moglie e figlioletto hanno una funzione e una presenza costanti,e il creatore del robopoliziotto,pur corrotto e discutibile,veniva assassinato in un complotto che avrebbe dovuto eliminare anche il protagonista,qua invece è una figura amichevole e in crisi di coscienza,e altre cose ancora.Soprattutto,la prima versione era molto più violenta,e più addentrata nei criteri del cyberpunk,filone fantascientifico dirompente e,quando uscì il primo film,appena esploso a ridipingere confini e canoni della science fiction,sia letteraria che cinematografica.Pur realizzando qualche buona sequenza,come quella iniziale,a Teheran,e uno scontro notturno in cui i visori termici tratteggiano l'azione,Padilha risulta di diverse lunghezze inferiore al suo predecessore Verhoeven:nel "Robocop" originale c'era un'atmosfera più truculenta,ma era un film molto più carnale e vivo,e inoltre il regista olandese sferrava unghiate sarcastiche agli USA reaganiani con verve.Qua ci si limita ad un lungometraggio ben allestito a livello spettacolare,ma che non scende mai sotto la superficie,riesplora,al limite,la questione etica su quanto si possa spingere la tecnologia perchè renda un servizio alla comunità,e non venga invece sfruttata per rendere invincibile chi detiene il Potere.Non che Peter Weller abbia avuto la carriera che prometteva,ma Joel Kinnaman offre più che altro prestanza fisica,e poco più:meglio gli esperti Oldman e Keaton,che si fronteggiano in una sfida in cui,da vecchie volpi del grande schermo,non prevaricano l'uno sull'altro,ma si accaparrano in modo naturale l'attenzione dello spettatore.

mercoledì 14 maggio 2014


POWER (Potere) (Power,USA 1986)
DI SIDNEY LUMET
Con RICHARD GERE,Julie Christie,Kate Capshaw,Gene Hackman.
DRAMMATICO
Molto prima che anche in Italia la politica si "americanizzasse" (ma diciamo anche in Europa,è più giusto),e si consultassero i "guru" dell'immagine,perchè preparassero al meglio i candidati alle presidenze sul come porsi,vestirsi,pettinarsi e muoversi per catturare più voti possibile,uscì questo lavoro di Sidney Lumet,che di fatto irrobustì il declino commerciale di Richard Gere,durato qualche anno,anche se,è naturale,l'essere diretto da un grande direttore di attori indica due cose.La prima è che per l'interprete significa una crescita e un tassello importante sul curriculum personale,e la seconda è che se un attore,in carriera,viene voluto da autori come Terrence Malick,Paul Schrader,Lumet stesso,Francis Ford Coppola,John Schlesinger e altri,non era semplicemente un belloccio amato dalle spettatrici.In "Power",Gere è uno spin doctor che puttaneggia fieramente in soccorso di candidati di varie provenienze e nazionalità,vendendosi cinicamente al miglior offerente in circolazione ogni volta,che però subisce una crisi di coscienza,e per una volta accetta di mettersi al servizio non del favorito,ma del più onesto tra due contendenti,prendendosi il rischio di una sconfitta.Il film è un pò troppo verboso,ma tutto sommato non dispiace,anche se c'è da dire che è migliore nello spunto e nel messaggio che passa,che nella sua realizzazione vera e propria,qua e là troppo freddo per appassionare lo spettatore:nel cast,Gere volenteroso e abile come spesso gli capitava nella prima fase della sua carriera a passare dalla carognaggine al sussulto di dignità,le belle Christie e Capshaw due forme di femminilità diverse tra loro,eppure entrambe affini al protagonista per opposti motivi,buona la parte da caratterista di Gene Hackman,antico mentore del personaggio principale e poi rivale.Non uno dei migliori Lumet di sempre,ma apprezzabile.

DEVIL'S KNOT-Fino a prova contraria
(Devil's knot,USA 2013)
DI ATOM EGOYAN
Con REESE WHITERSPOON,COLIN FIRTH,James Hamrick,Alessandro Nivola.
DRAMMATICO
Da un fatto orripilante,l'assassinio di tre ragazzini nel 1993 nei sobborghi di Memphis,il ritorno di Atom Egoyan con un dramma che ricostruisce i fatti,l'indagine e il processo che ne seguirono:furono accusati e portati a giudizio tre adolescenti che erano appassionati di stregoneria,vestivano da dark,ascoltavano metal,e vivevano in condizioni disagiate."White trash",come viene classificata certa umanità dai ceti medioalti,e quindi più semplici da indicare come mostri:anche perchè le testimonianze si fecero poi confuse,i dubbi sorsero anche nella madre di uno dei bambini uccisi,e,il film racconta,strane omissioni e atteggiamenti da parte di polizia e corte portarono a un giudizio in sostanza preannunciato.Costruito con attenzione ai dettagli e alle psicologie dei numerosi caratteri in scena,"Devil's knot" è parente di "Mystic river" nel tema e nell'assunto dello scrutare le molteplici sfaccettature di un fatto tragico,ma chiaramente differente dal film eastwoodiano per lo sviluppo del racconto.Denso eppure fluido nell'esposizione della vicenda,il film accosta,senza intrecciare realmente,i due personaggi principali,la madre appunto di uno dei ragazzi,interpretata con aderenza e sofferta partecipazione da Reese Whiterspoon,in una delle sue prove migliori,e un avvocato alle prese con un divorzio,che si batte contro la pena di morte,affidato a Colin Firth,che fornisce una prova ricca di mezzi toni,ma anche contraddistinta da una rabbia ribollente sotto la superficie,da ricordare Jack Lemmon nelle sue interpretazioni "serie":Egoyan,un cineasta capace di indagare nelle pieghe dei rapporti,e del confronto, a volte meno semplice di come lo si vuol costantemente dipingere tra il mondo mai puro degli adulti e quello dei ragazzi e bambini,sceglie di dipingere una tragedia evitando quasi sempre la via dell'enfasi.Sicuramente "Il dolce domani" rimane più riuscito,ma "Devil's Knot" è un lungometraggio interessante,che induce a riflessioni sapide sui meccanismi della Giustizia,e sul come sia possibile condizionare opinione pubblica e applicazione della legge.

lunedì 12 maggio 2014


40 CARATI (Man on a ledge,USA 2012)
DI ASGER LETH
Con SAM WORTHINGTON,Elizabeth Banks,Jamie Bell,Ed Harris.
THRILLER
L' "uomo sul cornicione" del titolo originale è Nick,un ex-poliziotto che è stato messo in carcere,accusato del furto di un diamante:proclamatosi innocente,l'uomo è evaso,ha prenotato una camera in un hotel,si è concesso una cena lussuosa,ed è salito sul cornicione annunciando di buttarsi dalla considerevole altezza se non arriva una poliziotta che è l'unica,afferma,di cui si fida.Sotto aumenta la massa di curiosi e persone che si appassionano alla vicenda,la polizia tratta con l'evaso,ma tutto fa parte di un piano che serve a distogliere l'attenzione da un'operazione che serve a proclamare l'estraneità del protagonista alle accuse che l'hanno mandato in galera.Diretto dall'esordiente Asger Leth,"40 carati" è,per tre quarti,un buon thriller,che soprattutto nella prima parte costruisce una tensione ben marcata,gioca su più piani narrativi,e dà spazio ai numerosi personaggi del racconto,ove ognuno ha un ruolo che verrà svelato nel corso della storia.Peccato che verso il finale,la voglia di approdare ad un liberatorio lieto fine comprometta la riuscita piena della pellicola,con spacconate improbabili,e un'eccessiva fiducia nella sorte che permette,tra incroci di interessi,lealtà e tradimenti vari,la sconfitta dei cattivi e la rivelazione della verità.Nel cast,piuttosto assortito,buona occasione per Sam Worthington,solitamente dedito a film in cui la recitazione conta fino ad un certo punto,e il cattivissimo Ed Harris,sempre più a proprio agio nei panni del villain cui toccano spiegazioni esaurienti delle proprie nefandezze,fa bene il proprio mestiere.Divertente e scorrevole,presenta un nuovo regista,potenziale coordinatore di blockbusters,che deve però prendersi qualche rischio,a livello di sviluppi narrativi.

giovedì 8 maggio 2014



UNA NOTTE DA LEONI 3 (The Hangover part III,USA 2013)
DI TODD PHILLIPS
Con ZACH GALIFIANAKIS,BRADLEY COOPER,ED HELMS,Jamie Cheung.
COMMEDIA
I manifesti hanno annunciato che è "l'epico finale della trilogia",e in effetti,pur con uno spiraglino lasciato aperto per eventuali sviluppi successivi,sembra che forse sia l'episodio definitivo della serie inaugurata da "Una notte da leoni" nel 2009,che sorprese per la mistura di commedia demenziale e sequenze d'azione,con il meccanismo-rompicapo della ricostruzione degli eventi a fatti compiuti,da ricomporre prima che il tutto si trasformi in un disastro totale.Questa volta si torna a Las Vegas,dove tutto cominciò,ma non c'è una notte brava da ricostruire,e il matrimonio imminente viene annunciato solo nelle scene finali:nel prologo l'amico/nemico del "branco" protagonista,il gangster cinese Mr.Chao riesce a fuggire dalla prigione thailandese in cui era stato messo,e Alan,il matto del gruppetto,ha combinato un altro bel casino,per cui deve essere accompagnato in una comunità di recupero,ma mentre gli amici di sempre lo accompagnano,vengono fermati dagli sgherri di un boss rivale dell'asiatico,che obbliga Alan,Phil e Stu a infilarsi in una faccenda rischiosa.Lo sforzo di fare qualcosa di diverso si percepisce,e gli incassi hanno premiato questo atto terzo delle avventure dei personaggi che hanno fatto la fortuna di Todd Phillips e compagnia bella,ma se il numero 2 era stato brutto,volgare e noioso,qui siamo ad un livello appena superiore,ma si affonda nell'autoreferenzialità,si ritorna a utilizzare schemi già conosciuti,con il risultato di una ripetitività di fondo abbastanza consistente.Zach Galifianakis,qua più al centro del racconto che nei due capitoli precedenti,non ripete l'exploit che aveva suscitato simpatia del primo film,Cooper e Helms stanno troppo sullo sfondo,con probabile svogliatezza,parendo presenti più per obbligo contrattuale che per altro,e il cinese Jamie Cheung è più noioso che mai,strepitando con fare lascivo per tutto il tempo che è in scena:l'attore migliore in scena è il "villain" John Goodman,che fa il numero di un eccentrico gangster con divertita e sorniona professionalità.Più che di conclusione epica,si potrebbe parlare di sollievo finale.E basta,davvero.

RISKY BUSINESS-Fuori i vecchi,i figli ballano!
(Risky Business,USA 1983)
DI PAUL BRICKMAN
Con TOM CRUISE,REBECCA DE MORNAY,Joe Pantoliano,Bronson Pinchot.
COMMEDIA
Negli USA fu un buon successo,da noi fu visto più che altro dagli adolescenti che lo recuperarono dopo il boom di "Top Gun",perchè era di fatto il primo risultato consistente della carriera di Tom Cruise,ventenne all'epoca dell'uscita di questa pellicola.Prima ancora di Macaulay Culkin e il suo Kevin in "Mamma,ho perso l'aereo",il teenager Joel ha il villino familiare a disposizione,con i genitori in vacanza per qualche giorno,e,dopo aver sfogato la naturale "botta" ormonale con una prostituta giovane e bellissima (Rebecca De Mornay al suo esordio,praticamente una Barbie in carne e ossa),si mette in vari guai,facendo cadere la Porsche di papà in un laghetto,indebitandosi per diverse migliaia di dollari,e allora attua un'idea imprenditoriale classica ma sempre in voga,in società con la ragazza,ospita le colleghe di lei e i compagni del facoltoso liceo che frequenta,per rimettersi in carreggiata con i soldi,ma nel frattempo si è inimicato il protettore della fanciulla....Diretto da Paul Brickman,che diresse un'altra commediola qualche anno dopo,di poco conto,"Risky Business" è un film di un genere ibrido:per essere un film drammatico è bellamente superficiale,per essere una commedia offre quasi nulle occasioni di divertimento o di umorismo.Cruise esibisce già il sorriso tridimensionale che ha contribuito a farlo adorare alle ragazze,e tuttavia mostra una bella dose di personalità,in un'operina scriteriatamente immorale,in cui la rincorsa del guadagno a tutti i costi diventa il leit-motiv di ogni personaggio in scena.Del resto,con una madre sottilmente odiosa e altezzosa,ed un padre rigido e ottuso come quelli di Joel,che poteva venir fuori?Cinema più "giovanilista" che "giovane" borghesissimo e più che mai inserito nel contesto "ottantoso" dell'America reaganiana,oggi appare piuttosto datato,seppure tutto sommato non sia scritto malissimo.

domenica 4 maggio 2014

DIVERGENT (Divergent,USA 2014)
DI NEIL BURGER
Con SHAILENE WOODLEY, Theo James, Kate Winslet, Ashley Judd.
FANTASCIENZA
Ci stanno provando in tutte le salse,più che altro con sfondi pseudohorror o fantastici in generale,con una storia d'amore che "non s'ha da fare" tra elementi di diverse fazioni:però il filone delle saghe per teenagers con voglia di romanticismi un pò faciloni,non sembra,dopo la conclusione della serie di "Twilight" voler decollare.Almeno fino all'avvento di "Divergent",che,provenendo da una trilogia libraria firmata da Veronica Roth,è,per ora,il terzo incasso USA del 2014,e sembra essere l'unico serio rivale per "Hunger games".Si parla di una società sostanzialmente pacifica,in cui si è divisi però per attitudini,e la protagonista Beatrice si ritrova,il giorno del test decisivo per capire in quale fascia sociale dovrà proseguire la sua esistenza, a scoprire di essere una "divergente",una che ha un pò di tutte le caratteristiche,in positivo,dei vari schieramenti,e perciò costituisce un potenziale pericolo per l'ordine sociale.Chiaro che ciò comporterà una sua fuga,la sua persecuzione,una storia sentimentale con uno dei suoi istruttori,e via enumerando.Affidato a un regista di non troppa personalità come Neil Burger,"Divergent" è un film di fantascienza come se ne sono visti tanti,ed emana dejà vu a tutto spiano.Le citazioni da altre società futuristiche in cui il falso benessere nasconde violenza latente e una soffocazione di ogni istinto naturale,con le fasce giovanili privilegiate nell'essere sotto esame perpetuo,si sprecano,e molto di ciò che accade sotto gli occhi degli spettatori è abbastanza prevedibile.Tuttavia,non è un lavoro così scadente,anche se non ci si appassiona mai davvero alle peripezie della giovane protagonista.Cast funzionale,ma è da sottolineare l'inusuale miscasting di Kate Winslet,solitamente interprete altamente dotata,che qui,in maniera evidente,dà una prestazione puramente mercantile.


FAHRENHEIT 451 (Fahrenheit 451,GB 1966)
DI FRANCOIS TRUFFAUT
Con OSKAR WERNER,JULIE CHRISTIE,Cyril Cusack,Anton Driffing.
FANTASCIENZA
Il romanzo di Ray Bradbury,pubblicato per la prima volta su "Playboy",a puntate,è uno dei grandi testi di fantascienza del Ventesimo Secolo:il pericolo di una disinformazione programmatica,dell'uccisione dell'ambizione alla Cultura nell'uomo qualunque,per gestire meglio il Potere e obbligare la gente  a non porsi questioni,la distruzione sistematica di ogni parola scritta per azzerare qualsiasi possibilità che la scintilla della consapevolezza possa partire,sono tutte cose inoculate da quel capo d'opera scritto dall'autore di "Cronache marziane",con l'idea geniale di pompieri che appiccano il fuoco,in qualità di agenti di pubblica sicurezza.Finchè all'ordinario esecutore Montag non sorge qualche dubbio,e,cominciando a leggere un libro salvato dal rogo,sente crescere una fame di conoscenza inedita,che deve soddisfare a scapito di lavoro e esistenza,nonostante l'ottusità della moglie e la protervia dei superiori.Pare che tra Francois Truffaut e Oskar Werner vennero fuori dissensi che resero una continua tensione le riprese del film,ma non si avverte,data la fluidità del racconto,e la sapienza di una sceneggiatura che,pur narrando temi importanti,li riveste con l'intelaiatura di una fantascienza "possibile",concedendo il minimo possibile agli effetti speciali.Nella corsa verso un esilio che diviene unico metodo di sopravvivenza dall'opprimente logica "senza pensieri" della società in cui è ambientata questa storia,il film si chiude su una nota poetica,i libri classici tramandati di persona in persona,a memoria,come un lascito per far sopravvivere le cose più nobili create dall'Uomo.Se Werner è un efficace Montag,non è da meno l'affascinante Julie Christie nel doppio ruolo della moglie-pedina del Sistema e della ragazza che contribuirà al risveglio della coscienza del protagonista.Per molti,non il miglior lavoro di Truffaut.ma è un lungometraggio di fantascienza di notevole spessore,che ancora oggi lascia stimolo alla riflessione  e risulta più calibrato e intenso di titoli più recenti.

giovedì 1 maggio 2014



NOAH (Noah,USA 2014)
DI DARREN ARONOFSKY
Con RUSSELL CROWE,JENNIFER CONNELLY,Ray Winstone,Emma Watson.
BIBLICO
Rilanciatosi con i risultati di "The Wrestler" e "Il cigno nero",Darren Aronofsky aveva già sollevato entusiasmi e raccolto tonfi,in carriera,anni fa:"The fountain" venne definito un lavoro ambiziosissimo e assai criticabile,e ora "Noah",che apre la  stagione dei nuovi kolossal biblici (a fine anno arriverà "Exodus" di Ridley Scott,con Christian Bale nei panni di Mosè),e il tempo,e il botteghino,ci diranno se risorge questo filone che una cinquantina d'anni fa fece realizzare diversi titoli ispirati ai personaggi dell'Antico e Nuovo Testamento.Scelto il neozelandese Russell Crowe per dar volto e barba al profeta che costruì l'Arca,gli affianca Jennifer Connelly,assieme alla quale il divo de "Il gladiatore" aveva già composto una coppia da zona Oscar in "A beautiful mind".Sembra che il box-office,comunque,abbia già risposto bene all'operazione,dato che il filmone è costato circa 125 milioni di dollari,e,a livello mondiale,siamo giunti a 320 di introiti lordi.Le critiche non hanno risparmiato Aronofsky,cineasta con molta personalità,ma che in diversi recensori non vedono proprio di buon occhio.A livello estetico,il suo racconto dell'avventura mistico-catastrofica di Noè rimanda a ombre cinesi e scene non dissimili da "Il signore degli anelli",e c'è fin troppo digitale negli effetti speciali,con fiori che nascono e germogliano in un secondo,giganti di pietra caracollanti,animali completamente generati al computer:però,a vantaggio dello script,e del film in generale,va detto che Aronofsky sottolinea continuamente la difficoltà del prendersi responsabilità asprissime,la fallibilità dell'uomo-Noè,che interpreta anche erroneamente i segnali che gli si manifestano,e nonostante qualche momento di stanca,soprattutto nella seconda parte,la pellicola,nel suo imponente procedere,si fa seguire volentieri.Cast interessante,con un Crowe intenso come non gli capitava da qualche film,e Ray Winstone offre la giusta dose d'infamia ad un re guerriero che ha fatto della sopraffazione una regola vitale,ma ancor più impresse rimangono Jennifer Connelly e Emma Watson,cui la regia affida le svolte "etiche" del viaggio dei sopravvissuti al disastro pluviale che copre il pianeta.Più dalla parte del mondo animale che dell'ambiente vero e proprio,"Noah" racconta,più che altro,la ferocia inestinguibile della specie più evoluta eppure più capace di abiezione,che abbia popolato la Terra,ma ricorda come ogni tentativo di miglioramento dell'Uomo,pur tra le sue miserie ed errori, abbia portato lontano.