giovedì 29 novembre 2012


TOTO' A PARIGI ( I,1958)
DI CAMILLO MASTROCINQUE
Con TOTO', Sylva Koscina,Lauretta Masiero,Fernand Gravey.
COMMEDIA
Doppio Totò,come gli è capitato altre volte in carriera,con una versione "naturale" ed una doppiata da Emilio Cigoli:l' "avventura" questa volta,per il comico napoletano,lo porta nella capitale francese,incastrato da un intrigo ordito da un suo sosia,boss della mala parigina.Il plot,trentatrè anni prima,sembra quello di "Johnny Stecchino",e infatti,già non era proprio un'invenzione estrosissima già allora.La regia di Mastrocinque è corretta,Sylva Koscina è di una bellezza sfolgorante,e Totò ha perlomeno una scena da ricordare,quella del treno dove fa diventare matto lo sventurato che condivide con lui la cuccetta,interpretato per questa volta da Luigi Pavese e non da Renato Castellani. Per il resto,intreccio così così,la sceneggiatura si ingolfa qua e là,e la professionalità del comico spesso viaggia con il pilota automatico.Titolo piuttosto considerato da buona parte dei recensori come una delle commedie migliori di Totò,c'è la sequenza in cui,con numero di ballo e smorfie annesso,come solo lui sapeva fare,sulle note di "Miss,mia cara Miss",sua canzone celeberrima,ma non tutta la pellicola è riuscita,e si sorride,ma ci sono diversi titoli con protagonista il dinamico partenopeo,scritti meglio e più efficaci nella riscossione del riso.

mercoledì 28 novembre 2012


VENUTO AL MONDO (I/ES/CR,2012)
DI SERGIO CASTELLITTO
Con PENELOPE CRUZ,EMILE HIRSCH,Adnan Haskovich,Pietro Castellitto.
DRAMMATICO
Quarto film da regista per Sergio Castellitto e secondo tratto da un romanzo della moglie Margaret Mazzantini:"Non ti muovere" fu un grande successo,di critica e pubblico,mentre il titolo successivo,"La bellezza del somaro",pur programmato per le festività natalizie due anni fa,non ottenne altrettanta fortuna.Qui si toccano argomenti non meno brucianti,come una maternità ricercata,con la natura che gioca contro,e l'immersione in una realtà orripilante,appena accanto alla nostra,come la guerra nella ex-Jugoslavia,uno dei momenti più atroci e vergognosi della Storia recente,con il carico di esecuzioni collettive crudeli e insensate,e gli stupri di massa per questioni razziali, e di vera sporcizia morale ed umana.Castellitto,che si ritaglia un ruolo piccolo,tre scene soltanto,ma che ha un peso decisivo in una particolare sequenza e come consigliere della protagonista,ha realizzato,questa volta,un lavoro che viaggia tra alti e bassi,con momenti che francamente lasciano perplessi se non contrariati (tutta la parte che coinvolge la psicanalista Jane Birkin,sarebbe stato molto meglio tagliarla al montaggio,fa perdere credibilità al film),e altri che prendono lo stomaco dello spettatore e lo conducono ad appena un passo dalla sua coscienza,e attanagliarne l'attenzione,come quasi tutta l'ultima parte del racconto.Un film che non era facile,ambizioso,anche urticante,con una recitazione degli interpreti spesso sopra le righe,anche se la Cruz fornisce una prestazione di livello,così come quello che interpreta il personaggio apparentemente più facile da leggere,come Adnan Haskovic,e invece si assume responsabilità e peso di traghettatore da presente a passato,per ricordare che le conseguenze di una guerra rimangono comunque addosso a chi l'ha vissuta. Sicuramente "Non ti muovere" al regista e interprete era venuto meglio,forse anche per la maggior semplicità della storia,qui non era semplice far tornare tutto,ma gli va dato adito di aver voluto parlare,con mezzi di prim'ordine ed un cast di fama internazionale,di una tragedia che l'Europa,e molto del mondo occidentale,ha sottovalutato inizialmente,e fatto finta di non vedere poi,come un conflitto di una barbarie inaudita appena fuori dalla nostra porta,ma non dalla nostra portata.

lunedì 26 novembre 2012


55 GIORNI A PECHINO
(55 Days at Peking,USA 1963)
DI NICHOLAS RAY
Con CHARLTON HESTON,DAVID NIVEN,AVA GARDNER, Flora Robson.
DRAMMATICO/STORICO
Non proprio l'ultima pellicola diretta da Nicholas Ray,perchè nel 1976 girò un'ultimo film caduto pressochè nel dimenticatoio,ma un kolossal cui l'autore di "Gioventù bruciata" sfuggì quasi al termine della lavorazione,"55 giorni a Pechino" è ambientato nel 1900,ponendo al centro della storia la rivolta dei Boxer,che mise in seria crisi ogni diplomatico straniero presente nella capitale cinese,che venne dipinta come ignominiosa,ma a conti fatti non era che una sommossa contro gli invasori di altri paesi sul proprio territorio.Tra l'uomo di Stato David Niven,ambasciatore inglese,e l'ufficiale americano Charlton Heston scocca un'alleanza forzata che si tramuta in amicizia via via che l'assedio degli occidentali si fa più duro:riuscito a livello spettacolare,musicato imperiosamente da Dimitri Tiomkin e ben fotografato,il filmone si ingolfa narrativamente,abbozza una retorica imperialista che gli fa perdere simpatia,e giustifica il ripristino con la forza dei conquistatori come una qualsiasi riscossa vista sul grande schermo.La mano di Ray si nota nella cura degli sfondi,nell'eleganza della messinscena,ma al film fa difetto una lunghezza elefantiaca,molto in vigore all'epoca,per realizzare i film costosi e di ambientazione storica,e l'ideologia filo-occidentale,senza se e senza ma,che lo percorre.Non il miglior film di un autore a parte,intenso e capace di immagini splendide.

I VAMPIRI ( I ,1956)
DI RICCARDO FREDA
Con GIANNA MARIA CANALE,PAUL MULLER,Dario Michaelis,Antoine Balpetre.
HORROR
Ritenuto il primo vero horror del cinema italiano,a parte un "Frankenstein" prodotto negli anni Dieci e sparito di circolazione,"I vampiri" di Riccardo Freda è più che altro un thriller con qualche connotazione fantastica,che fa ampio riferimento alla leggenda di Erszebeth Bathory,trattata anche in film differenti,sia per epoca che per taglio e qualità,come "Tre donne immorali" e "Hostel part II",che pare utilizzasse sangue di vergini per immergersi e mantenere la propria pelle giovane sfidando il tempo.Freda ebbe divergenze serie con la produzione e abbandonò la lavorazione prima di chiudere le riprese,che vennero terminate da Mario Bava,e tuttavia negli anni,la considerazione di "cult" per "I vampiri" è cresciuta,anche a livello di valutazione critica.Benchè il trucco della trasformazione "a vista",ottenuto semplicemente con il makeup e un gioco di luci sia realizzato splendidamente,ed il film abbia sia compostezza che ritmo,i dialoghi sono relativamente interessanti,e la vicenda non appassiona del tutto.Certo,l'occhio per il dècor,l'aura cupa e la recitazione di Gianna Maria Canale contribuiscono ad elevare questo lungometraggio,che merita comunque importanza per il valore di provare a scandagliare il genere orrorifico,che entro pochi anni assumerà spessore e raccoglierà interesse presso il nostro pubblico,ma non mancano fior d'ingenuità lungo tutta la proiezione.

sabato 24 novembre 2012


DRACULA 3D (I/ES,2012)
DI DARIO ARGENTO
Con THOMAS KRETSCHMANN,Marta Gastini,Rutger Hauer,Asia Argento.
HORROR
Quando venne annunciato questo nuovo progetto di Dario Argento,appena prima che venisse maldestramente distribuito "Giallo",che avrebbe dovuto rappresentare il ritorno al thriller classico,e invece era stato,puntualmente,un altro passo falso della carriera del cineasta di "Suspiria",il regista dapprima negò che avesse messo in cantiere una rilettura di un mito dell'orrore come "Dracula".E' vero che il principe dei vampiri,pur nell'overdose di riproposizione dei succhiasangue dell'ultimo decennio,ha sempre un altro passo,ma di fatto,dopo la versione coppoliana,che ha i suoi estimatori e i suoi detrattori,non sono più uscite versioni di serie A dell'epopea tenebrosa del conte non-morto.Va detto,tanto per essere chiari,che rispetto a "La terza madre" e "Giallo",appunto,ma forse anche riguardo a "Il cartaio",che questa versione tridimensionale del personaggio di Bram Stoker ha un minimo di occhio per scenografie (curate da Antonello Geleng,che ha lavorato a qualche progetto dell'horror italiano più feroce,quello degli anni Settanta),fotografia,allestimento,la colonna sonora,che anticamente era tra i punti di forza del cinema argentiano,è fatta di troppi rimandi ai B-movie classici.Il livello della recitazione,ma sono cose risapute in zona Argento,non è esattamente splendido,e sia Kretschmann (che però è un pò troppo compassato,da sembrare quasi un cattivo di 007 dell'era Roger Moore) che Hauer,quando giunge in scena a due terzi di narrazione,fanno un figurone:l'impressione sostanziale,oltre il numero questa volta piuttosto alto di delitti in scena (una ventina,più o meno) e qualche impennata da grand-guignol puro,come la scena del massacro nell'osteria,con cinque omicidi in poco più di due minuti di proiezione,è che siamo alle prese con un'opera meno brutta di quanto paventato,ma di sostanziale inutilità nel percorso del regista.Qualche libertà presa rispetto all'originale del romanzo,un'ambientazione in terra germanica,ma con nomi talvolta appartenenti canonicamente all'Est europeo,e un finale con pallottole d'argento,che parzialmente svia dal classico relativo al Principe della Notte.In un'intervista recente Dario Argento ha parlato di un ritorno ad un thriller ambientato nella cronaca nera di oggi,ma speriamo che questa volta possa essere davvero un ritorno a un livello perlomeno discreto.Non si sa mai...

venerdì 23 novembre 2012


KISS KISS BANG BANG ( Kiss Kiss Bang Bang,USA 2005)
DI SHANE BLACK
Con ROBERT DOWNEY JR.,VAL KILMER, Michelle Monahan,Deanna Dozier.
COMMEDIA/AZIONE
Giunto ad una certa notorietà nell'ambiente cinematografico sceneggiando neoclassici del cinema action più marcatamente ironici dei loro predecessori come "Arma letale",Shane Black esordì nella regia con "Linea di sangue",thriller con Dennis Quaid e Danny Glover non perfetto ma neanche disdicevole:si è guadagnato notevole plauso da parte della critica con "Kiss Kiss Bang Bang",che nel titolo si rifà a Ian Fleming,ma mette in scena una storia noir ad alta componente parodistica,in cui la coppia di protagonisti è imprevedibile quanto basta,il duro dei due è gay,si rileggono archetipi con gusto dissacrante,senza perdere ritmo nè il classico finale " a vite" con resa dei conti risolutoria.Il prossimo,terzo capitolo della serie "Iron Man" è stato affidato a Black,che vi ritrova Robert Downey jr.,tornato in auge anche grazie a questa pellicola,in cui può esprimere la sua ironia personale,sommandolo ad un'altra promessa star,poi appannatasi via via con gli anni,quale Val Kilmer:in questo film c'è da divertirsi,che si sia appassionati del genere o meno,e la narrazione procede via svelta e senza intoppi.In più,non sfuggiranno implicazioni letterarie e cinematografiche di chi ha masticato e digerito pagine e fotogrammi di giallisti di prim'ordine,il che non guasta affatto.

mercoledì 21 novembre 2012


UMBERTO D (I,1952)
DI VITTORIO DE SICA
Con CARLO BATTISTI,Maria Pia Casilio,Lina Gennari,Memmo Carotenuto.
DRAMMATICO
Valse a De Sica e Zavattini la "scomunica" democristiana per bocca di Giulio Andreotti,per quanto aveva colpito nel segno,nonostante i passi in avanti dopo la fine della guerra,in un'Italia in fase di ricostruzione:ma siccome,come è noto,a quell'epoca gli sceneggiatori prendevano l'autobus per farsi un'idea di come fosse la gente,la società attorno a loro,la chiave con cui viene dipinta una città abitata da persone mosse dalla grettezza,dall'egoismo,dal menefreghismo circa chi può star peggio,non deve essere stata lontana dalla realtà.Anzi.Un anziano che ha fatto una vita di lavoro decoroso e si ritrova incapace di sopravvivere,quasi,percosso dalla stanchezza,dalla delusione,dalla miseria che incombe e i debiti che non danno tregua,cerca ogni potenziale appiglio,economico,umano,di semplice comprensione,senza trovarlo,fino ad arrivare a tentare di mendicare senza riuscirvi (e anche lì,come il film sottolinea,bisogna aver grinta per saperlo fare):quello che Andreotti fece finta di non capire,e così come chiunque abbia dato ragione a lui e non a chi ha fatto questo film,è il messaggio di speranza oltre tutto,che chiude la pellicola.Perchè l'affetto di un cagnolino può essere salvifico,se si è perso tutto,anche se i passi verso il domani sono quanto mai incerti e viziati dal pessimismo.La forza di volersi affacciare ad un'altro giorno,di non arrendersi nel cercare un sorriso che ridia una briciola di vita,un motivo per non voler chiudere la propria esistenza,per quanto grama,avvilita dal prossimo,è la cifra finale di lettura di un film splendido,minimalista,vero e doloroso,che senza porsi limite porta lo spettatore ad una commozione finale onesta e senza paura delle lacrime.De Sica utilizzò il non professionista Carlo Battisti,la cui goffaggine timida aumenta la sincerità del personaggio,e tiene l'intero racconto sintonizzato su una spirale avvitata verso il basso di malinconia,drammaticità,senza ricorrere a scene madri,giungendo appunto ad un finale che ad un passo dal tragico,si ricorda che non ne vale la pena,di soccombere e lasciar trionfare tutto il brutto che c'è stato prima.Un De Sica immenso.

lunedì 19 novembre 2012


ELECTION ( Election,USA 1999)
DI ALEXANDER PAYNE
Con MATTHEW BRODERICK,REESE WHITERSPOON,Chris Klein,Jessica Campbell.
COMMEDIA 
Riguardo Alexander Payne,ho già scritto altrove che i suoi film,generalmente,fanno più effetto dopo averli visti,rimuginandoci sopra,che a visione appena conclusa:"Election" fu un pò il film che lo lanciò all'attenzione di critica e pubblico,e affronta da un punto di vista originale tematiche quali la vita nelle scuole superiori,certe dinamiche interne,che richiamano tuttavia anche l'organizzazione di parte della società americana,e lo fa senza dimenticare di sottolineare meschinerie e pochezze di ogni personaggio.La facciata è da paese evoluto,ivi si coltivano le menti e le classi dirigenti del futuro,ma appena dietro si celano disonestà,classismo,rancori e una lotta per la supremazia senza esclusione di colpi,bassi perlopiù.Dalla prima della classe che è in realtà un mostriciattolo,moralmente parlando,cui interessa solo svettare su tutti,al campioncino sportivo riciclatosi "politicamente",ai docenti ufficialmente integerrimi,ma mai troppo sicuri della loro condizione,è un intero dipanarsi di intrighi,malignità e piccole e grandi crudeltà.Il film fa più sogghignare che ridere,e forse con una decina di minuti in meno sarebbe stato migliore:la prima parte è originale,ha intuizioni,anche visive,che catturano un vivo interesse,per poi rallentare abbastanza verso la conclusione.Senza levare gli alti lai di diversi recensori al tempo della sua uscita,c'è da dire che "Election" è una commedia piuttosto originale,non sempre riuscita,ma contraddistinta da una grinta tenuta sotto coperta che spesso mette fuori la testa.


GIORNI PERDUTI (The lost weekend,USA 1945)
DI BILLY WILDER
Con RAY MILLAND, Jane Wyman,Philip Terry,Howard Da Silva.
DRAMMATICO

L'artista in panne creativa,e la dedizione al vizio per riempire i tempi vuoti,per smaltire la delusione di se stesso,per zittire la propria debolezza e non saper smettere di cercare una sorta di trance mentale,è un tema quasi abusato da letteratura e cinema,e a volte siamo sprofondati proprio nel clichè vero e proprio trattando l'argomento.Non è così per "Giorni perduti",film da Oscar per Billy Wilder e Ray Milland,che nell'arco temporale di un fine settimana racconta la caduta all'inferno e il tornare in carreggiata di uno scrittore che ha avuto successo,ma non sa tornare a certi fasti.In una scansione di tempo ben delineata,il film segue l'odissea buia del protagonista,fino ad un delirio alcoolico per l'epoca shockante,con la scena del pipistrello che sbrana il topo,da considerarsi ancora inquietante.I trucchi per bere,le "furbate" che anticipano i momenti d'angoscia vera e propria,il pessimismo più sfrenato,il sordido ambiente dei derelitti ormai preda delle bevute e ridotti quasi a morti viventi,e la riconquista di un minimo di dignità utile per riprendersi:il tutto in un'ora e quaranta minuti di proiezione davvero lancinanti,se considerato che si parla di un film di metà anni Quaranta.L'inventiva ed il coraggio,oltre che una mano solida nel dirigere gli interpreti non sono mai mancati al grande regista d'origine austriaca,e Milland è in uno dei suoi ruoli migliori.

mercoledì 7 novembre 2012


REBECCA,LA PRIMA MOGLIE (Rebecca,USA 1940)
DI ALFRED HITCHCOCK
Con JOAN FONTAINE,LAURENCE OLIVIER,Judith Anderson,George Sanders.
DRAMMATICO
L'unico film di un maestro del cinema a vincere l'Oscar (ma non c'è da abbattersi,a Kubrick,per esempio,non è toccato proprio...) è "Rebecca",dramma sentimentale maculato di suspence sottile,che sconfina nell'ultima parte nel thriller,con una regina delle tenebre quale la governante,che cela misteri e un'attitudine crudele di base.Anticipando temi che torneranno,ancor più complessi e ancestrali ne "La donna che visse due volte",Hitchcock,da una novella di Daphne Du Maurier trae un romanzo amoroso in cui i fantasmi del passato pesano più che mai,a rischio della salute mentale della nuova sposa di un uomo misterioso,che non si apre mai davvero,e rimane ambiguo fino alla conclusione del racconto:Manderlay,tenuta di impressionante bellezza,è caduca come quasi ogni cosa costruita dagli uomini,e vulnerabile;Rebecca,di cui ogni personaggio nel film ricorda quanto incidesse,che facesse innamorare o altro,aleggia continuamente,assente fisicamente ma ingombrante confronto per la protagonista,una magia della regia rendere così presente un personaggio che non c'è.Tra l'altezzosità del coprotagonista Laurence Olivier,che cela un vissuto doloroso e difficile da conciliare al presente,e la vulnerabilità tuttavia combattiva di Joan Fontaine,altra bionda fondamentale del cinema del regista de "Gli uccelli",sebbene apparsa meno di Grace Kelly e Tippi Hedren nei suoi fotogrammi,Hitch sceglie un percorso tortuoso verso un finale in cui amor omnia vincit,nonostante ogni previsione:la follia,che deflagra nel finale,dopo essersi mostrata nella sua pericolosità in precedenza,brucia i ricordi e le presenze opprimenti di quel che non ci può più essere.Romantico e sinuoso,"Rebecca" è un film non scontato nella produzione hitchcockiana,complesso come ogni racconto amoroso nelle sue pellicole,in cui la morbosità non è aliena,e si affaccia da qualche parte.

SKYFALL ( Skyfall,GB/USA 2012)
DI SAM MENDES
Con DANIEL CRAIG, Javier Bardèm,Judy Dench,Naomie Harris.
AZIONE/SPIONAGGIO
Il crack della MGM aveva messo in serio pericolo il nuovo corso delle avventure dell'agente 007,e dopo due capitoli,dei quali uno divenuto quasi subito uno dei più amati dell'intera serie,l'altro parzialmente deludente (continuo a pensare che sia stato un errore di regia,Marc Forster non è un regista idoneo a questo tipo di film),era necessario fare un nuovo lungometraggio di James Bond che in qualche modo differisse dagli altri,e fornisse nuovi elementi ad una saga capace di giungere al mezzo secolo continuando ad interessare appassionati di generazioni diverse. Ingaggiato Sam Mendes,mossa azzeccatissima,si va da un inseguimento a Istanbul alla brughiera di Scozia,passando per il miliardo di luci di Shanghai,una Londra messa sotto pressione esplosiva.Il cattivo,questa volta,è una nemesi perr certi versi antitetica a Bond,caricaturale eppure più pauroso del solito malvagio che spiega i propri piani all'agente prima di finire eliminato."Skyfall" è una curva a gomito che poteva tradursi in un incidente di percorso,per le numerose mosse arrischiate intraprese da sceneggiatura,regia e interpreti:certo,inverosimiglianze se ne contano,ma siamo in un film di 007,per la veridicità delle sequenze meglio cercare altrove.I personaggi si staccano dalla bidimensionalità tipica del film d'azione tout court,un incipit sfrenato in ritmo e aggressività visiva lascia spazio a successivi sviluppi narrativi che imbastiscono bene un racconto di fragilità umane,scelte di campo e rimandi alle origini da abbattere per ripartire verso nuove prospettive.James Bond si ferma a contemplare nel sottofinale il suo mondo,forse con occhi nuovi,come ogni mattina dopo un momento cruciale porta un diverso modo di percepire la luce sulle cose:Daniel Craig si sobbarca la briga di mostrare uno 007 non più infallibile,provato nel corpo e nello spirito,ma dotato di una volontà incrollabile,anche metri sott'acqua gelida,Javier Bardem dipinge un cattivo sopra le righe con motivazioni più consistenti del solito ed una teatralità maiuscola,giungono nuovi volti come Naomie Harris (che solo alla fine rivelerà la propria identità) e Ralph Fiennes,mentre per qualcun altro è ora di congedo.E il pubblico ripaga con entusiasmo le svolte decise.

lunedì 5 novembre 2012


IO E TE (I,2O12)
DI BERNARDO BERTOLUCCI
Con JACOPO OLMO ANTINORI,TEA FALCO,Sonia Bergamasco,Veronica Lazar.
DRAMMATICO
Romanzo breve e tuttavia di formazione,"Io e te",di Niccolò Ammanniti è il racconto dell'incontro tra due consanguinei che non si conoscono,e,nel piccolo spazio di uno scantinato,dove entrambi si nascondono per motivazioni diverse,si trovano e ne escono in direzioni diverse,ma arricchiti:un ragazzo chiuso,adolescente,con una sensibilità particolare ma con quelle ostilità verso tutti che nell'adolescenza marcano spesso le stagioni,ed una ragazza più grande che ha un rancore forte quanto la sua voglia di vita,inzaccherata d'eroina ,in un rifugio polveroso,che sa di ricordo di altre persone sconosciute,e bugie da rivolgere ai "grandi" per difendersene e proteggere il proprio mondo.Bernardo Bertolucci torna,dopo nove anni,al cinema,e problemi personali che ne hanno danneggiato la salute,ma lo sguardo è sempre fresco,così come in "The dreamers" aveva sorpreso,parlando del '68 con gli occhi ancora famelici di meraviglia.Dal "nascondiglio" non usciranno certezze,perchè sarebbe assurdo pretenderne dalla mente e dal cuore di ragazzi,ma se lei avrà la forza di negarsi una nuova dose di oblìo in polvere,lui avrà finalmente voglia di sorridere a quello che arriverà.La cosa toccante,la forza di Bertolucci,è quella di una specie di lascito,alle nuove generazioni,costantemente bersagliate di prospettive zero sul loro Futuro,sul pessimismo,a volte anche un pò comodo,sull'esistenza che devono aspettarsi,sull'incoraggiamento ad affrtontare la Vita e godersela come avventura da intraprendere,e trovare in se stessi forze e voglìa di sperare nell'affetto,nell'amore,nella speranza,nella comprensione.I giovanissimi Jacopo Olmo Antinori e Tea Falco sono idonei e ruvidi come i personaggi e l'età lasciano fiorire.E la mossa di fare di quella che musicalmente è considerata un incidente di percorso di due grandi della musica quali David Bowie e Mogol,e cioè "Ragazzo solo,ragazza sola",versione italica di "Space Oddity",la colonna sonora di uno dei momenti più belli del film,è un'impronta autoriale potente e ravvivante.

domenica 4 novembre 2012


KILLER JOE (Killer Joe,USA 2011)
DI WILLIAM FRIEDKIN
Con MATTHEW MCCONAUGHEY,EMILE HIRSCH,JUNO TEMPLE,Thomas Haden Church.
GROTTESCO/NOIR
Presentato nel 2011 a Venezia,riscontrando buone ,quando non addirittura entusiastiche recensioni,verso uno degli Autori che riformarono Hollywood negli anni Settanta,a colpi di blockbuster del tutto nuovi,come Spielberg,Lucas,Coppola,Milius e compagnia grande,"Killer Joe" è uno di quei film che porta naturalmente alla discussione,perchè spiazza,provoca,può causare confusione o anche,in qualche caso,repulsione,ma di fatto è una pellicola che sa di cinema vero:Friedkin torna a far parlare di sè i cinefili,essendo stato,negli anni,etichettato come fascista,bigotto,demodè,ma rimanendo nella sostanza un anarchico puro,capace di mandare quasi a picco la propria carriera dapprima vincendo Oscar per un poliziesco (!),e abbattendo ogni record d'incasso con un horror rimasto nei brutti sogni di tanti spettatori,e infilando successivamente fiaschi su fiaschi,per poi rilanciarsi con un cult che riscrive molto del cinema d'azione a venire come "Vivere e morire a Los Angeles".E poi altri film andati male al botteghino,a volte pure odiosi come "Regole d'onore",quasi indifendibile,per poi stupire con una pellicola caustica verso il mito americano della Famiglia,portando sullo schermo un nuovo,sorprendente,film in cui esemplari della "white trash" giustificano,con la loro assenza assoluta di valori,tale epiteto,considerando i soldi da incassare per un'assicurazione sulla vita più importanti della colpa nel commissionare un omicidio di una congiunta,e un poliziotto corrotto e assassino per denaro,che si insedia nella gaia famigliola come uomo nuovo.Per molti,l'occasione di riconsiderare un bello ritenuto più idoneo agli spot per cose da maschi che a recitare,come Matthew McConaughey ,in quello che forse è il ruolo della vita,e di sicuro è l'occasione per nuove svolte di carriera per questo interprete mai così convincente come qui;l'escalation di violenza del finale,in cui un barattolo di cibo in scatola è utilizzato come arma impropria,in un delitto collettivo che gronda sarcasmo puro,come la chiosa finale su un'inaspettata gravidanza,annunciata sul teatro di un crimine crudele e violento,è una delle mosse più audaci eppure azzeccate,come quei movimenti,nello sport,così azzardati che,se vanno male,sono sterili preziosismi,se vanno bene risultano momenti indimenticabili,e adatti solo a grandi campioni.William Friedkin crea una scena pesantissima da reggere sia per gli attori (l'invasato McConaughey,un'ancora seducentissima Gina Gershon ed un attonito Thomas Haden Church) che per il pubblico come quella dell'umiliazione sessual-machista alla colpevole nella cucina,e svirgola su un finale che lascia interdetti come uno schiaffo improvviso,in una pellicola che non può lasciare indifferenti.