martedì 27 marzo 2012


A 30 SECONDI DALLA FINE ( Runaway train,USA 1986)
DI ANDREJ KONCHALOVSKIJ
Con JON VOIGHT,ERIC ROBERTS, Rebecca De Mornay,John P.Ryan.
DRAMMATICO/AZIONE
Una vecchia sceneggiatura di Akira Kurosawa,che prevedeva l'azione svolta in Unione Sovietica,ed il treno senza controllo al centro del film sfrecciante nella taiga siberiana anzichè in Alaska,diviene,per paradosso dei tempi e delle bizzarrie del cinema,un film d'azione americano diretto da un russo trapiantato negli States.La storia di un'evasione,che comunque fa parte del lungo prologo al cuore del racconto vero e proprio,la condizione di tre esseri umani alla disperazione su un mezzo lanciato verso la catastrofe,divenendo un elemento di potenziale distruzione,si trasforma nel probabilmente miglior film prodotto dall'ormai defunta Cannon di Golan e Globus,a metà anni Ottanta produttori d'assalto di molto cinema action,per i quali firmarono contratti star del genere come Sylvester Stallone e Chuck Norris.Violento e crudo anche nei dialoghi,oltre che in alcune sequenze di tensione maiuscola,quali l'incontro di pugilato in carcere che presenta per la prima volta la natura belluina del detenuto interpretato da Jon Voight,e quasi tutta la parte sul treno,"A 30 secondi dalla fine" è un cult-movie elettivo,di cui è difficile non invaghirsi,da cinefili:dentro c'è un'attenta costruzione dei personaggi,la sapiente costruzione del pathos tra i caratteri,l'elaborazione di una doppia nemesi che diviene ossessione folle ed inferocita sia di Manny (Voight) che del direttore del penitenziario,una fortezza tra le nevi perenni,volta a disintegrare l'Altro,che è uno specchio distorto della medesima ,colossale,furia.La scena dello scontro nell'abitacolo che ospita,sotto pressione indicibile,Voight,Roberts e la De Mornay è da manuale della recitazione,per come sa far esplodere la tensione e dipingere la presa di coscienza della propria sconfitta,a livello umano,del fuggitivo più anziano:ed un finale che non è esagerato definire epico è l'adeguata conclusione di un film trascinante,splendido,appassionante.Per quanto sia affezionato a Paul Newman (e comunque glielo potevano dare almeno altre sette o otto volte,per interpretazioni ben più memorabili,prendo a caso "Il verdetto" o "Lo spaccone"),l'Oscar 1987 non dato a Jon Voight è un vero e proprio scandalo:al rilancio come interprete dopo qualche anno di eclissi,l'imponente biondo dona carisma,un'applicazione etica severa fino alla pazzia,un'inclinazione alla violenza senza possibilità di essere contenuta,e la capacità di un atto di compassione che umanizza definitivamente un carattere che assume,nel finale,la forza di un Titano dello schermo.D'intorno,gli fanno buon corollario un tesissimo Eric Roberts,una spaurita ma tenace Rebecca De Mornay,ed un livido John P.Ryan.

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