SOTTO UNA BUONA STELLA (I,2014)
DI CARLO VERDONE
Con CARLO VERDONE,PAOLA CORTELLESI, Tea Falco,Lorenzo Richelmy.
COMMEDIA
I film di Carlo Verdone,solitamente premiati al botteghino,a parte un paio di rarissime eccezioni,si possono dividere,un pò grossolanamente,in tre categorie:ci sono i film verdoniani di cui si tramandano da anni e anni le battute,perchè più giocati sulla leggerezza e sui giochi di parole,quelli in qualche modo di transizione,meno memorabili di altre sue pellicole (ci mettiamo "Il bambino e il poliziotto","Grande,grosso e Verdone",e "C'era un cinese in coma",per esempio),e quelli che approcciano tematiche più serie,ma in qualche modo non centrano l'obiettivo e rimangono a metà strada tra il film riuscito e l'ambizione non realizzata."Sotto una buona stella" forse fa parte di quest'ultima categoria.E' vero che Verdone è rimasto tra i non molti,in Italia,a cercare un equilibrio tra cinema dai potenziali ottimi incassi e un occhio alle problematiche più consistenti:ne è prova il piuttosto riuscito "Posti in piedi il paradiso",e qui gli accenni a disoccupazione,crisi di sistema e di collocazione anche delle varie generazioni,ci sono.Si sorride,ma non spesso,e il gioco d'attori tra Verdone e Paola Cortellesi è più volte uno dei punti di forza del lungometraggio:però,ad essere onesti,non si può dire che "Sotto una buona stella" rimarrà come uno dei lavori migliori del regista e attore romano.C'è un pressapochismo,nel descrivere la situazione ingarbugliata della famiglia disfunzionale protagonista,insolita,per la cinematografia di Verdone,e anche la recitazione di più interpreti non è proprio impeccabile(Tea Falco,che ci era piaciuta in "Io e te",qua delude alquanto).Inoltre,si approda al finale con una sensazione di tirato via che non fa bene all'intera pellicola:e spiace dire questo,perchè le intenzioni erano buonissime,è apprezzabile il voler portare il discorso su argomenti come quelli sopra citati.Ma in una casa che sembra il set di una normale sitcom della tv generalista,con una sala centrale che fa da teatro a buona parte del racconto,dei disoccupati che non si curano granchè di cercare occupazione,e conducono comunque una vita non propriamente al risparmio,cercare tracce di oggettiva verità non è semplice,e il filmetto non è sgradevole,ma non dice grandi cose.
THRILLING (I,1965)
DI ETTORE SCOLA,GIAN LUIGI POLIDORO,CARLO LIZZANI
Con NINO MANFREDI,ALBERTO SORDI,WALTER CHIARI,SYLVA KOSCINA.
Nel primo episodio,Nino Manfredi viene salvato dall'annegamento ma accusa la moglie di tramare per mandarlo al Creatore,a più riprese;nel secondo,Walter Chiari ha debiti a destra e a manca e per ravvivare il rapporto con la moglie si veste da criminale in stile "Diabolik";nel terzo,Alberto Sordi raccoglie un autostoppista poco rassicurante,e per sfuggirgli si rifugia in un casolare abitato da una strana e ancor più inquietante famiglia... Film a episodi come questo,tra fine anni Cinquanta e metà anni Settanta,ne sono stati fatti a iosa,coinvolgendo registi d'ogni caratura e attori di varia fama,per la gioia di soggettisti e sceneggiatori che magari trovavano il modo di far vedere la luce dei proiettori a trame che non avevano il respiro di un lungometraggio,ma erano tuttavia spendibili in prodotti e progetti atti a portare il pubblico nelle sale.Di questo,che ironizza sul cinema di suspence,il primo episodio è annacquato,nonostante un discreto Manfredi impegnato a risultare petulante,neanche il finale tragicomico lo rende incisivo,quello centrale,piuttosto breve,con Chiari,è abbastanza inutile e corrivo.Discorso a parte per l'episodio conclusivo,diretto da un Lizzani in vena di leggerezza,ma anche di sottile crudeltà,in cui un cialtrone,guidatore della domenica,impersonato con abile stolidità da Alberto Sordi,finisce,poveraccio,nelle grinfie di una famiglia di psicopatici,anticipando il disegno maligno che porterà il pittore Lino Capolicchio nelle fauci di chi uccide gli abitanti di un paesello in "La casa dalle finestre che ridono".C'è la vis comica sordiana,ma emerge anche una dimensione vagamente inquietante che aumenta il valore del segmento,di gran lunga superiore al livello d'insieme delle altre frazioni della pellicola.
THE MONUMENTS MEN (The monuments men,USA 2014)
DI GEORGE CLOONEY
Con GEORGE CLOONEY,MATT DAMON,Bill Murray,John Goodman.
DRAMMATICO
Lo spunto è preso dal vero:per proteggere molti capolavori depredati dai nazisti e condannati alla distruzione o a esser trafugati venne formato un team di studiosi che agirono come fossero stati membri di un corpo speciale,per rintracciare e recuperare opere altrimenti mal destinate.Il cinema di George Clooney da regista segue un percorso autoriale non banale,magari discontinuo a livello qualitativo,ma è sempre evidente che il divo sia di una certa intelligenza,dotato di un'ironia consistente,e che ami i classici per rivisitarli a modo suo."The monuments men" ha un cast molto ben combinato,da Clooney stesso a Matt Damon,con Bill Murray,John Goodman,Jean Dujardin,Cate Blanchett,Bob Balaban nei ruoli principali,una buona qualità della messa in scena con un uso non dozzinale di costumi,scenografie e ricostruzione storica,però quel che rende questo lungometraggio più valido nelle intenzioni che nella realizzazione finale,è un senso di superficialità che permea tutto il film irrimediabilmente.Intendiamoci,è un lavoro discreto,oltretutto meritevole di interesse per il messaggio che lancia,e la sensibilità con cui guarda ad alcune delle cose migliori prodotte dall'Umanità,le opere d'arte.Però il racconto è un pò sommario,la disinvoltura con cui gli eroi attraversano un'Europa dilaniata dal conflitto mondiale è un pò eccessiva,e il tono dell'operazione è un misto fin troppo manifesto di "Ocean's Eleven","Quella sporca dozzina" in versione soft,e "I guerrieri".Tra i film diretti da George Clooney,assieme a "In amore niente regole" è quello meno convincente, e tuttavia motivi di interesse ne presentava eccome.Solo,non sempre le buone intenzioni fanno da sole un film riuscito.
LAST VEGAS (Last Vegas,USA 2013)
DI JOHN TURTELTAUB
Con MICHAEL DOUGLAS,ROBERT DE NIRO,MORGAN FREEMAN,KEVIN KLINE.
COMMEDIA
Per l'addio al celibato di quello più mondano del gruppo,quattro amici alle soglie della settantina,uniti dall'infanzia,si concedono un fine settimana a Las Vegas,in cui problemi di salute,vecchie ruggini e malesseri dovrebbero essere cancellati per qualche giorno:c'è quello che è "autorizzato" dalla moglie a darsi alle follie,con profilattico in dono annesso,c'è uno che è malato di cuore e non dovrebbe sdarsi,con figlio ansiosissimo che lo controlla,c'è uno che è vedovo da poco e con il promesso "sposino" ha un pò di attriti,perchè è rimasto deluso.In tre giorni ci sarà tempo di vivere qualche avventura,e di confrontarsi per provare a rinsaldare la vecchia amicizia.Per certi versi è toccante vedere i grandi nomi che tra i Settanta e i tardi anni Novanta hanno fatto saltare il banco al box-office,continuano a sgomitare,e fare gruppo,illuminando i casting di accoppiate,e a volte,come in questo caso,veri e propri gruppi di star un tempo impensabili o quasi,insieme in cartellone.Però il tempo scorre,c'è poco da fare,e magari un copione non imprescindibile non aiuta,anche se la classe dei grandi interpreti,abbinata alla sicurezza del mestiere,può ovviare a tante imperfezioni.Certo,John Turteltaub,che comunque può vantare diversi titoli dai buoni incassi,è un "professional" affidabile per gli studios,un regista senza grande personalità,però abituato a lavorare con le star che solitamente conduce in porto,senza grandi impennate,le operazioni che gli vengono affidate:ecco,tutto sommato "Last Vegas" è una commediola non irresistibile,qua e là gradevole,ma gli manca un minimo morso di cattiveria,di sarcasmo,che sarebbero stati invece efficaci.E invece,soprattutto verso il finale,le spruzzate di melassoso buonismo non mancano di certo:nel cast,serviti così così Freeman e Kline,in sostanza nei ruoli "laterali",e se a De Niro tocca la parte del sentimentale della banda,è Douglas il vero protagonista della storia,con un personaggio meno superficiale di come voglia apparire.Tra i quattro leoni,però,quella che ne esce meglio è la signora Mary Steenburgen,che presta un misto di disincanto e serenità alla sua cantante di club regolarmente vuoto,che la fa brillare e risultare migliore del film stesso.
CITTA' VIOLENTA (I,1970)
DI SERGIO SOLLIMA
Con CHARLES BRONSON,Jill Ireland,Telly Savalas,Umberto Orsini.
NOIR
Il duro Jeff ha una bella donna accanto,una barca sulla quale solca un mare azzurro,e un fisico prestante.Però è anche un killer che ha preferito fare altro,ritirarsi per godersi la vita,ma i giochi di pezzi grossi che lo incastrano,gli fanno perdere tutto.Come ogni buon noir comanda,il protagonista affronta un calvario per tornare libero,anche se a quel punto non è che a metà delle proprie peripezie,e ogni scoperta sarà amara:diretto da Sergio Sollima,di cui qualche anno dopo si sarebbe apprezzato il "Sandokan" televisivo,"Città violenta" è un thriller non eccelso nella trama,ben girato nelle scene d'azione,con uno schema di tradimenti come fossero matrioske.Ogni atto infame ne maschera un altro,a sua volta ancora più opportunista e vile.Logico che il baffuto sicario abbia una morale personale,e che,pur soffrendo sul proprio lato vulnerabile,la bionda dal fisico scolpito Jill Ireland (signora Bronson anche nella realtà),arriverà al finale scegliendo,coerentemente, di non imboccare la via della salvezza,e pur trovando la propria vendetta,farà in modo di compiere il proprio arco tragico.Bronson è,a modo suo,un interprete che adottava il metodo dell'understatement per tratteggiare i propri uomini dall'espressione di roccia,e mantiene l'appeal da scafato hard guy che i suoi fans amavano nonostante qualche lentezza della trama,ed è piuttosto efficace il resto del cast,dal ridente Telly Savalas al mellifluo Umberto Orsini.Notevoli gli inseguimenti in auto,ed un finale con spari non udibili ma ugualmente inesorabili.
QUEL TRENO PER YUMA (3:10 to Yuma,USA 1957)
DI DELMER DAVES
Con GLENN FORD,VAN HEFLIN,Felicia Farr,Leora Dana.
WESTERN
Da sempre uno degli western classici più amati dagli appassionati del genere,ma anche di cinema in generale,"3:10 to Yuma" ha conosciuto un remake pochi anni or sono,con due star del calibro di Russell Crowe e Christian Bale ad interpretare i personaggi portati qua sullo schermo da Glenn Ford e Van Heflin,con finale cambiato,non di poco,nella nuova versione.Il fuorilegge Ben Wade a confronto con l'onestissimo e coraggioso Dan Evans,che per sfamare la propria famiglia si accolla il rischio di portare il bandito,catturato da poco,in carcere a Yuma,ma c'è un treno che deve essere aspettato,e chiaramente i complici di Wade non lasceranno alcuna mossa intentata.Apparentato a ragione con "Mezzogiorno di fuoco",ha in comune con il capolavoro di Zinnemann un'indicazione di tempo e spazio ristretti,l'eroe che si prende una responsabilità per il bene della comunità,aiutato poco o niente dagli altri componenti della medesima,gli umani dubbi che attraversano il personaggio positivo,e la paura sconfitta con il senso del dovere,e una canzone di Frankie Laine.Delmer Daves sfrutta bene gli interni,senza dimenticare di imprimere la necessaria ariosità alle scene in spazio aperto,con i cieli sovrastanti i destini dei personaggi:consapevolmente,la regia dona a Glenn Ford l'occasione,colta,di rendere affascinante un villain,che tuttavia mostra fibra da uomo vero,arrivando a sviluppare simpatia per il proprio obbligato carceriere,e fare una mossa impensabile nel finale,e a Van Heflin di dare lo spessore adatto al proprio povero cristo chiamato a un'azione proditoria.La pellicola scorre con incalzante vigore,dando modo di aumentare la tensione protendendosi verso la chiusa,liberatoria e edificante.Western quasi minimale,anche per l'ambientazione della lunga parte centrale in una stanza d'albergo,ma realizzato con passo e sguardo epici.
LE STREGHE DI SALEM (The Lords of Salem,USA/GB/CAN,2012)
DI ROB ZOMBIE
Con SHERI MOON ZOMBIE,Jeffrey Daniel Philips,Bruce Davison,Meg Foster.
HORROR
Il prologo vede una congrega di invasate compiere un rituale per la venuta di un messia demoniaco,e,come risaputo,a Salem nel Settecento le streghe fanno una brutta fine:infatti,di lì a poco,le megere vengono sommariamente processate e arse vive.Al giorno d'oggi,la fascinosa ed eccentrica Heidi è una dj metal,con un bel cane,che vive in una pensione gestita da una signora che prende amabilmente il tè con due amiche un pò sciroccate:la bella bionda riceve da ignoti un dono allo studio radiofonico in cui conduce una trasmissione con due colleghi,una scatola di legno che contiene un disco degli inediti "Lords of Salem",e che curiosamente diventa un successo non appena viene trasmesso.Però il cupo motivo inciso porta strani pensieri nella donna,un malessere sempre più marcato e visioni agghiaccianti:altre ascoltatrici,nell'udire quelle note,vanno in una sorta di trance.E chi c'è nella sempre chiusa stanza n.5 della pensione,che dovrebbe essere vuota? Rob Zombie ritorna,dopo il dittico dedicato a Michael Myers nuova versione,con il suo film più teorico:infatti,non ci sono scene splatter in "Le streghe di Salem",a parte un'uccisione a colpi di padella,ma più che altro visioni inquiete,luci e ombre e maschere,corpi di donna segnati dal tempo nudi e spiattellati nei sabba mostrati.E' il film di un cineasta che sa,eccome,come muovere la macchina da presa e difficilmente si lascia andare a grossolanità purtroppo nel genere frequenti:ci sono citazioni cinefile nette ma non troppo referenziali,su tutte "La maschera del demonio" di Bava,soprattutto nell'avvio,e ammicchi sapidi ai cultori dell'horror soprattutto nelle scelte di casting:c'è Ken Foree da "Zombi",Dee Wallace da "Cujo" e "L'ululato",Patricia Quinn da "Rocky Horror Show",e si va a ripescare anche Maria Conchita Alonso,bellezza latina presente negli anni 80 in varie grosse produzioni.Una discesa agli inferi,una vendetta aspramente ironica sulla discendente di chi condannò le streghe,che inquieta anche e soprattutto per la mancanza di eccessi sanguinari:scandito nei giorni che arrivano appunto al Sabato,senza fretta il racconto evocando un'atmosfera tesa come può riuscire a uno scrittore consapevole del proprio talento di narratore robusto.Peccato che Sheri Moon Zombie lavori praticamente solo con il marito,e in storie orrorifiche:oltre alla bellezza del suo corpo,sempre messo in evidenza,si nota una fibra d'attrice talentuosa che potrebbe essere utilizzata anche in ruoli drammatici con credibilità.
THE WOLF OF WALL STREET
(The wolf of Wall Street,USA 2013)
DI MARTIN SCORSESE
Con LEONARDO DI CAPRIO,Jonah Hill,Margot Robbie,Kyle Chandler.
GROTTESCO
Una storia americana,quella di Jordan Belfort,rapacissimo predatore della Borsa a Wall Street,ma,viste le conseguenze della bolla che ha causato la crisi economica occidentale ancora in corso,forse,meno romanzata magari,può darsi che siano accadute un pò dappertutto vicende parenti di quel che viene narrato nell'ultimo film di Martin Scorsese.Che,nell'opera del regista di "Casinò",è un capitolo a parte nel lungo studio antropologico dell'autore:dopo la disgressione fanciullesca di "Hugo Cabret",in cui i buoni sentimenti erano presenti,ma senza stucchevolezza,qua siamo alle prese con un lungometraggio di un sarcasmo senza filtri.Perchè,se non visto con i giusti strumenti mentali,"The wolf of Wall Street" può anche apparire come un biopic anche affascinato dal mondo folle,debordante di eccessi di ogni tipo (di sesso,soldi,droghe,lusso),che ruota attorno al carismatico bambino prodigio,immaturo in ogni forma di relazione umana ma capacissimo di far fruttare in denaro ogni possibile raggiro organizzato. Tre ore sfiorate per un soffio di cinema elaborato su una sceneggiatura martellante di Terence Winter,con il quale Scorsese ha lavorato per l'acclamata serie tv "Boardwalk Empire",dal libro autobiografico di Belfort stesso:è un pò il limite della pellicola,la lunghezza,peraltro voluta con acerrima volontà da parte del regista stesso in barba ai produttori,perchè nella seconda parte il ritmo cala,ovviamente,e in qualche momento il racconto sembra tirarla per le lunghe.Un coraggioso Leonardo Di Caprio sfrutta il proprio carisma d'attore per impersonare un vizioso puro,che si balocca con i corpi delle femmine che gli capitano sotto,esercita un fascino coinvolgente sui propri adepti,e si mette in situazioni imbarazzanti,per una star,con la praticità di chi crede fermamente in un progetto;dintorno,Scorsese gli piazza bellezze all american (bellissima la "nuova" Margot Robbie),colleghi in ruoli di fianco (Rob Reiner nella parte del padre di Belfort,e Jon Favreau in quella di un avvocato del protagonista),valorizza un interprete capace come Jonah Hill dandogli il ruolo più sgradevole di tutti,se possibile,e si permette di dare una parte secondaria ad un attore che ha vinto due anni fa l'Oscar come protagonista,quale Jean Dujardin.Le vittime delle truffe di Belfort si sono,comprensibilmente,adirate per il film sullo squalo delle azioni-spazzatura,tuttavia resta un'opera grottesca che disegna un mondo di delirante scelleratezza,ove ogni cosa che è possibile fare grazie al possesso di potere e quattrini viene fatta al cubo,per servire egoismo,piacere,un quadro di sperperi che rimanda al declino della Roma antica,e ribadisce,una volta ancora,che l'Uomo è preda dei propri vizi e non sa andare oltre,nel proprio progresso,di una ricerca continua dell'orgasmo.
MEAN MACHINE (Mean Machine,GB 2001)
DI BARRY SKOLNICK
Con VINNIE JONES ,Danny Dyer,David Hemmings,Jason Statham.
COMMEDIA
Il soggetto di "Quella sporca ultima meta" deve essere piaciuto molto,se del film di Robert Aldrich,peraltro solitamente non considerato uno dei suoi lavori migliori (eppure è cult eccome),sono stati fatti negli ultimi quindici anni ben due remakes:questo,che ambienta nel calcio la storia che vedeva l'ex-campione detenuto Mean Machine ribellarsi alla vendita di una partita tra galeotti e secondini,e "L'altra sporca ultima meta",versione ancor più brillante,con Burt Reynolds in un ruolo di fianco,e Adam Sandler star.Qua siamo in Inghilterra,ma il canovaccio è più o meno quella,con tanto di direttore carogna,impersonato da David Hemmings in una delle sue ultime interpretazioni,e c'è da dire che però per quanto lo seppe rendere odioso,l'originale di Eddie Albert era molto più incisivo.Il film,che vede anche Jason Statham nei panni di una sorta di "Arma X" della squadra dei prigionieri,scorre abbastanza bene,è abbastanza cosciente della sua natura di rifacimento di un piccolo classico,ma di categoria inferiore,e qua e là può divertire.Non che Reynolds sia stato uno degli attori più straordinari di Hollywood,ma l'ex-calciatore Jones va bene come caratterista, e un film intero sul groppone è fin troppa cosa.Certo,l'effetto copia-carbone è percepibile per tutta la durata della pellicola,e alla lunga stempera un bel pò l'effetto-simpatia.
TUTTA COLPA DI FREUD (I,2014)
DI PAOLO GENOVESE
Con MARCO GIALLINI,Anna Foglietta,Vittoria Puccini,Claudia Gerini.
COMMEDIA
Lo psicanalista che non riesce a contemplare lucidamente ciò che gli accade intorno è un classico della commedia e del thriller:è vero che quando si è coinvolti personalmente nelle situazioni è arduo saper scindere,ma il rischio clichè è sempre ad un passo.La nuova commedia di Paolo Genovese,attivissimo,visto che nelle ultime quattro stagioni ha sfornato cinque film,prevede un padre divorziato (da una moglie che le figlie non menzioneranno mai....) che ha tirato su tre ragazze,al momento dai trenta ai diciotto come età raggiunta,che lo interrogano e lo mettono al corrente delle loro sarabande amorose.La più grande è lesbica,ma pensa di voler rischiare a mettersi con un uomo,perchè con le donne non le va mai bene,la mezzana coltiva passioni stralunate per tipi imprendibili,finchè non si incapriccia di uno che le ruba libretti d'opera e lo pedina,per fare una certa scoperta,e la più piccola,a diciott'anni,si è innamorata di un coetaneo del padre.E anche il babbo ci mette del suo,visto che segue da tempo una bella signora con cagnolino,senza il coraggio di dirle nulla.... Il film parte bene,ha un bel momento di stasi,e si avvia ai vari finali intrecciati prendendosela un pò troppo comoda,ma bisogna riconoscere a sceneggiatura e film l'audacia di non cercare il lieto fine a tutti i costi per tutti i frangenti.Certo,l'impronta pieraccioniana (è tra gli autori del soggetto) si avverte in certi passaggi,nel quadro d'ambiente anche troppo roseo e infiocchettato,non tutte le occasioni sono sfruttate a dovere:però è più una commedia che guarda al Verdone della fase più matura,anche se rispetto al modello,ci sono più banalità e luoghi comuni.Tuttavia,c'è da dire che il cast aiuta non di poco la regia,visto che Giallini,come protagonista,pretende di papparsi meno l'interesse del pubblico rispetto al Castellitto di "Una famiglia perfetta",tra le ragazze Anna Foglietta sembra tra le giovani del cinema italiano con maggior verve,e non dispiace l'apporto di Claudia Gerini e Alessandro Gassman in ruoli marginali ma utili al racconto.Gradevole,fin troppo confezionato,ma non finisce lasciandoti la sensazione di aver sprecato tempo.