RAPINA A MANO ARMATA (The killing,Usa 1956)
DI STANLEY KUBRICK
Con STERLING HAYDEN,Coleen Gray,Vince Edwards,Elisha Cook jr..
NOIR
E' risaputo che quando Stanley Kubrick "toccava" un genere cinematografico in qualche modo ne fissava punti di riferimento imprescindibili,o arrivava quasi ad esaurire l'argomento:primo lungometraggio considerato tale del regista di "Barry Lyndon","Rapina a mano armata" è un noir criminoso,in cui una banda scalcagnata di personaggi "dropout" (quasi quarant'anni prima de "I soliti sospetti"...) mette insieme la pianificazione di un colpo che dovrebbe dare loro la svolta che aspettano da una vita vissuta poco bene quando non addirittura sprecata,ma che alla fine,per scherzi del destino o incapacità sostanziale degli uomini del clan,manda in fumo l'occasione irripetibile giunta per i protagonisti.Kubrick evidenzia fin da subito che è nato fotografo,con chiaroscuri netti e taglienti,sfondi non ancora così personalizzati come ci avrebbe abituato in seguito,e riesce a dare ritmo alla vicenda con la scansione di un fallimento beffardo,che come i più cocenti insuccessi,ad un certo punto sembra aver preso la direttiva giusta per finire al meglio per chi l'ha ordito e messo in pratica.Tra signore inaffidabili o impreviste,come insegna la miglior tradizione di questo genere,Sterling Hayden & co, viaggiano inconsapevoli,o incuranti,verso lo sfacelo.Dialogato a raffica,ed anche questo per il cinema di Stanley è abbastanza anomalo,"Rapina a mano armata" è un gigante nel genere,ma ha qualche lieve approssimazione,qualche incertezza che lo rendono appena appena "minore" rispetto a tutti gli altri gioielli creati dall'autore.Ma è cinema di alto livello,per come è girato,recitato e scritto,non ci sono dubbi alcuni.
TOY STORY 3-La grande fuga (Toy Story 3,USA 2010)
DI LEE UNKRICH
ANIMAZIONE
FANTASTICO/AVVENTURA
Tra il primo e il secondo episodio erano passati solo quattro anni,ma tra il numero due e il tre ne sono corsi undici:"Toy Story",ormai un classicissimo dell'infanzia e del cinema d'animazione moderna,è una trilogia che reimpasta quasi sempre gli stessi personaggi,proponendo la lotta per la sopravvivenza di un gruppo di giocattoli,contro il tempo,le logiche degli umani anche cercando di non far capir loro di possedere una vita propria.Però,questo è giocato sempre con inventiva,con amor cinefilo maiuscolo,e infatti moltissime sono le citazioni che fioccano nei tre capitoli delle avventure di Woody,Buzz & C.,e soprattutto il livello di animazione e di idee visive è sempre di altissima qualità.Passata la mana John Lasseter,che rimane come co-sceneggiatore e produttore,al nuovo regista Lee Unkrich,il terzo film della serie riesce ad essere addirittura migliore del numero due,che era un divertissement per gli adulti e un gustoso cartoon da vedere e rivedere per i piccoli:il racconto è più fluido e avvincente,i villain sono psicologicamente più ricchi,con tanto di facciata e vera personalità nascosta,un mondo nuovo come l'asilo cui sono destinati i protagonisti viene dipinto con coscienza di classe,cosa abbastanza fuori dall'ordinario per un film hollywoodiano,e non manca l'occasione per celebrare,una volta ancora,l'importanza dell'amicizia e della solidarietà.Il tutto,con soventi sorrisi distribuiti bene lungo la pellicola.Visto che nel mondo Pixar la serializzazione non è considerata un difetto,la storia del cowboy e dell'astronauta e compagnia sembrerebbe concludersi qua,ma non è detto che le menti della casa di produzione di molti dei film d'animazione più belli degli ultimi vent'anni non possano dar vita a un nuovo episodio....
ALEX CROSS-La memoria del killer (Alex Cross,USA 2013)
DI ROB COHEN
Con TYLER PERRY,Matthew Fox,Edward Burns,Rachel Nichols.
THRILLER
Dopo i discreti risultati al box-office de "Il collezionista" e "Nella morsa del ragno",dai romanzi bestseller di James Patterson,sullo sbirro anomalo Alex Cross,profiler dell'FBI che "entra" nella mente dei criminali e cerca di sventarne le malefatte,in cui il personaggio era interpretato con navigata professionalità da Morgan Freeman,in era di reboot vari,si azzera la serie,si ringiovanisce il carattere e si prova a cominciare una nuova saga gialla,in cui si raccontano un pò le origini di Cross,come mai ha certi lati ombrosi,e come ha perso la moglie:la regia è di un esperto del botteghino come Rob Cohen,cui si deve l'origine di "Fast & Furious" e uno dei migliori film di Stallone nel suo periodo peggiore,gli anni Novanta,"Daylight",quindi era perlomeno giusto aspettarsi un thriller abile.Purtroppo,a giudicare sia dal risultato al box-office,ove ha fatto clamorosamente fiasco,sia da quello del valore filmico,è probabile che l'avventura su grande schermo di Alex Cross si spenga qua.Il protagonista Tyler Perry,fisicamente un colosso goffo e lontano anni luce dalla classe sciolta con cui si muove Freeman,e tantomeno non quello che a prima vista di definirebbe,dall'espressione,un genio dell'investigazione,pare sia un personaggio "bigger than life",che ha fatto anche il senzatetto,si è arricchito facendo show personali e scrivendo commedie sulla propria vita strampalata,qua in veste seria non convince neanche per un minuto.La storia non riesce a sviluppare suspence,di serial killer imprendibili e diabolici ne abbiamo visti forse fin troppi,e su tutto il film vige un'ambiguità tra un garantismo tollerato a malapena e una legge del taglione da applicare senza tanti scrupoli,perlomeno un revenge-movie all'italiana si sarebbe schierato nettamente sul secondo binario,a dispetto di quanto ci si potesse trovare d'accordo o meno.Non parliamo poi di dialoghi e recitazione:oltre a Perry,in visibile difficoltà e con un personaggio non nelle sue corde,Edward Burns,che un tempo sembrava potesse diventare una personalità eclettica,ridotto a fare da spalla a suon di clichès,Jean Reno in una marchetta pecuniaria anche piuttosto tirata via,e il peggiore in scena è lo smagrito Matthew Fox,che,occhi sgranati perennemente e un'aria schizzata da cocainomane sempre su di giri,è uno dei serial killer (denominato "Picasso") più insopportabili e privi di interesse visti al cinema.
ULTIMO DOMICILIO CONOSCIUTO
(Dernier domicile connu,1969)
DI JOSE' GIOVANNI
Con LINO VENTURA,MARLENE JOBERT,Michel Constantin,
NOIR
Il "pòlar" e il "noir" sono generi che con il giallo classico sono più che imparentati,ma i francesi hanno impresso le differenziazioni che tali sono rimaste,tra il racconto thriller in cui si deve venire a capo di un indagine,e quello in cui la scena riguarda criminali e investigatori,ma in un contesto in cui le motivazioni umane e i caratteri scolpiscono l'evoluzione del racconto,dando naturalmente tinte fosche alle vicende:José Giovanni,che aveva una storia personale ingombrante sulle spalle,di collaborazionismo e di idee,almeno in gioventù,affini agli invasori nazisti,fu comunque tra i registi che,individuati come "di genere",lentamente diventarono autori riconosciuti,dalla critica e dal pubblico."Ultimo domicilio conosciuto" è un noir,appunto,che giunge alla fine degli anni Sessanta,che vede l'esperto mastino della Sureté Lino Ventura messo in un angolo per aver calpestato i piedi sbagliati,e che deve farsi carico della ricerca di un supertestimone utile per incastrare degli importanti malavitosi,e gli fa da spalla la fresca Marlène Jobert,anche per togliersi dalla penosa routine di un commissariato di seconda importanza,ove i due hanno la missione di beccare dei molestatori di signore sole.La conclusione della vicenda,però,non potrà essere che amara e lucidamente spietata:lo Stato usa e getta le persone,e se ne sbatte delle conseguenze delle loro "buone azioni",in un accesso di anarchismo a muso duro che dà l'avvitata conclusiva alla storia.Senza spicciarsi,"Ultimo domicilio conosciuto" conta sulla verosimiglianza di dialoghi e situazioni,su una buona coppia d'attori,con Ventura che intarsia di pacatezza e durezza il proprio poliziotto laconico,e la Jobert che arricchisce con la propria femminilità il film.Finale sconsolato,che valorizza ancor più il film.
LA SIGNORA DEL VENERDI'(His girl's Friday,USA 1940)
DI HOWARD HAWKS
Con ROSALIND RUSSELL,CARY GRANT,Ralph Bellamy,Gene Lockhart.
COMMEDIA
Secondo adattamento della commedia di Ben Hecht e Charles McArthur,che poi avrebbe generato anche "Prima pagina" e "Cambio marito","La signora del venerdì" è una guerra dei sessi scandita tra uno scoop e un trucco meschino,da parte di un ex-marito e ex-direttore a una bella giornalista d'assalto,che ha deciso di svoltare vita e aspirazioni,decidendo di sposare un brav'uomo che le garantirà una vita "ordinariamente" tranquilla,in un angolo di mondo senza sorprese.L'ex-congiunto,cui naturalmente non piace non avere l'ultima parola,nè perdere una delle migliori penne al suo servizio,si giocherà ogni carta,soprattutto quelle false,per non lasciare che la donna sparisca dalla sua vita.Howard Hawks era grande con il western,ma non era di certo meno abile con le commedie,come questa survoltate su un intenso fuoco di fila di battute,sparate senza sosta,tra botta e risposta senza tregua,che rendono piacevole per lo spettatore un canaglione come quello interpretato da Cary Grant,pur comprensivi verso quel bravo tipo del fidanzato impersonato da Ralph Bellamy,e ancor più si rimane affascinati dalla personalità travolgente sfoggiata da Rosalind Russell,vera "donna con gli attributi",capace di tenere testa al marpione,e appassionata verso il proprio lavoro,realizzato con impegno e coscienza civica.Un film di godibilissima resa,una commedia classica e modernissima,che dispensa buonumore a chili,pur tenendo di conto dello sfondo sociale,sulla pena di morte e su ciò che comporta in una società che vuol dirsi "civile",oltretutto dribblando il facile cinismo degli addetti ai lavori;in questo caso,i giornalisti più scafati della cronaca.
POVERI MA BELLI (I,1956)
DI DINO RISI
Con RENATO SALVATORI,MAURIZIO ARENA,MARISA ALLASIO, Lorella De Luca.
COMMEDIA
Un titolo divenuto proverbiale,incassi alti e un seguito prodotto quasi a ruota,"Poveri ma belli",nel solco del "neorealismo rosa",fu uno dei primi grandi successi di Dino Risi,lanciò giovani stelle come Marisa Allasio,Renato Salvatori e Maurizio Arena,e si impose come un punto di riferimento della commedia all'italiana sentimentale e che non perdeva d'occhio la vita quotidiana delle masse che accorrevano nelle sale a ritrovare momenti e ambienti a loro assai comuni.Il duo di amici per la pelle Salvatore e Romolo,che tirano a far giorni lavoricchiando,uno dallo zio che usa il negozio di dischi come vero e proprio scannatoio,l'altro come bagnino più intento a fare il filo alle nuotatrici che a salvare i bagnanti in una piscina,si ritrova,nonostante il legame ferreo che li unisce,ad azzuffarsi,farsi i dispetti e le marachelle per i favori di una bella bionda,figlia di un sarto,la quale dà un colpo al cerchio e una alla botte,addirittura fissando in contemporanea con i due giovanotti,chiaramente all'insaputa uno dell'altro,per farsi portare fuori.Risi azzecca il passo,le battute e il gioco di squadra di un cast fresco,energico e che non perde occasione di ammiccare al grande pubblico(più simpatico,tuttavia,Salvatori che Arena),pur,come si è detto,non trascurando l'occhiata sociologica,apparentemente superficiale,ma più reale di tanto altro cinema,e i momenti in cui "Poveri ma belli" invita con successo al sorriso,sono diversi.Quel che non convince è come si risolve la commedia,con la bellissima Marisa Allasio (all'epoca quel che si può definire un vero e proprio "schianto di ragazza") che,dopo aver fatto ammattire i due playboy "de borgata" china la testa e ritorna entusiasticamente assoggettata al per nulla simpatico vecchio fidanzato,infido e falso,che ha il viziarello,per niente piacevole,di alzare le mani e vantarsene pure (addirittura rinfaccia alla signorina che non stava buona a prenderle...),lasciando piuttosto di stucco,e in un'ottica in cui in quanto donna,puoi anche buscarle,e il maschio deve essere pure padrone,scema la piega della bocca dall'allegro al perplesso forte.Per non parlare dell'adattabilità dei due protagonisti,che tutto sommato si accontentano delle rispettive sorelle,tanto le altre sono più che altro civette.Va bene la morale d'antan,ma peccato che ci sia questo finale retrogrado....
G.I.JOE-La vendetta (G.I.Joe-Retaliation,USA 2013)
DI JOHN M.CHU
Con DWAYNE JOHNSON,ADRIANNE PALICKY,Byung Hun-Lee,Bruce Willis.
AZIONE
La Hasbro,alla terza pellicola prodotta per far diventare cinema storie ispirate ai suoi classici giochi,continua a investire fior di denaro,ma il bilancio,a ben guardare,è di quelli altalenanti:"G.I.Joe" è andato piuttosto bene,con un incasso mondiale di oltre 300 milioni di dollari,mentre il successivo "Battleship" si è risolto in un finanziario bagno di sangue,classificandosi tra i flop più enormi di questi anni.Il rimandarsi continuo dell'uscita di questo sequel delle avventure belliche dei soldati sempre pronti all'azione non ha però causato un fallimento della missione box-office,avendo addirittura battuto il primo episodio di una settantina di milioni.Sarà per la presenza di Dwayne Johnson,l'ex-"The Rock",che hanno già battezzato un portafortuna per le serie in cui viene incluso,vedi il crescente introito di miliardi nei sequels di "Fast & Furious" con lui presente,sarà per un pubblico sempre più difficile da capire,visti certi successi a metà (i due ultimi film con Tom Cruise) e certi inaspettati trionfi (come questo,in parte),però di fatto, a dispetto di una trama oltre il prevedibile,e di una perdita quasi totale di quel minimo d'ironia che salvava il primo episodio,c'è da aspettarsi un "G.I.Joe" numero 3.Qui si tratta di tradimenti,nemesi che ritornano,buoni che nell'altro film erano malvagi,e invece alla fine forse si sono pentiti davvero,e nel mezzo scontri all'arma bianca,con mezzi corazzati e bocche da fuoco d'ogni tipo e potenza.La trama è relativa,si convoca il "G.I.Joe" originale,il generale Bruce Willis,che appare in un paio di scene,oltre al finale (ormai è un cameista de luxe...),che ha un'abitazione letteralmente piena di armi di ogni tipo,uno degli attori presenti sul manifesto esce di scena dopo pochissimo (ed è l'unica vera idea del film,ma pare che sia stata una precisa volontà dell'interprete,non diciamo chi per evitare lo spoiler...),e si incappa in una monotonia narrativa di rara uggiosità.Un blockbuster che più precotto non si poteva.
TUTTO TUTTO,NIENTE NIENTE (I,2012)
DI GIULIO MANFREDONIA
Con ANTONIO ALBANESE,Fabrizio Bentivoglio,Teco Celio,Lunetta Savino.
COMMEDIA
Benchè non abbia avuto recensioni particolarmente favorevoli,il seguito di "Qualunquemente" si è piazzato comunque tra i primi venti incassi della stagione 12/13,il che può far pensare che potrebbe esserci un ulteriore sviluppo dei personaggi portati al successo in tv da Antonio Albanese.Visto questo "Tutto tutto niente niente",si auspica,però,che ciò non accada.Stavolta in scena,oltre che il malandrino Cetto LaQualunque,ci sono Frengo Stoppato,divenuto un guru di non si sa bene quale religione che ricorda le comunità in salsa hippie degli anni Settanta,e Dolfo Villaretto,veneto xenofobo che però proprio con l'ìmport di immigrati irregolari si guadagna da vivere:i tre sono coinvolti da un sottosegretario della presidenza del Consiglio,che più doroteo non si può,impersonato da un Fabrizio Bentivoglio in vena di leggerezze,e vengono spinti sul proscenio politico per risultare,al momento giusto,validissima capri espiatori per una classe dirigente irrecuperabile.Lo spezzettamento del talento di uno dei grandi comici sorti negli ultimi vent'anni in Italia è parte del suo appeal,ma al cinema ha reso meno di quanto potenzialmente arrivato in tv:Albanese è un attore capacissimo,abile anche nelle tonalità drammatiche,ma anche qui è tenuto poco a bada da regia e sceneggiatura,e gioca senza risparmio,sprecando molto e risultando poco divertente.Qualche stoccata a Chiesa (le battute migliori) e Stato non bastano a compensare una sceneggiatura spesso soporifera,con un moralismo anche troppo facile,in cui,come si disse anche per l'altro film,che ha preceduto questa pellicola,la realtà è ancora più degna di sarcasmo riguardo l'umorismo che dovrebbe vivacizzare questo lavoro.Manfredonia confeziona diligentemente,ma senza guizzi,Paolo Villaggio compare senza profferir verbo,a simboleggiare un Potere vetusto,mangione e indifferente:ed è un peccato doverlo dire,ma forse i personaggi creati da Antonio Albanese non reggono la trasposizione dallo schermo piccolo,a quello grande.
E' STATO IL FIGLIO (I,2012)
DI DANIELE CIPRI'
Con TONI SERVILLO,Giselda Volodi,Alfredo Castro,Aurora Quattrocchi.
GROTTESCO
Primo film dopo la "scissione" dei Dioscuri di "Cinico Tv",Daniele Ciprì e Franco Maresco,per il primo dei due (l'altro porterà sugli schermi un progetto intitolato "Belluscone",probabilmente più in linea con i loro lavori girati insieme),"E' stato il figlio" è stato presentato la scorsa edizione del Festival di Venezia,ottenendo buone critiche in sostanza,e scarso riscontro di pubblico.La storia,raccontata tutta in flashback,di una tragedia con ampi spazi dedicati al grottesco puro,di una famiglia siciliana colpita da un lutto improvviso e terribile,la più piccola dei figli cadere sotto il fuoco di un agguato mafioso,e cercare un riscatto sociale con l'indennizzo da parte dello Stato che vedrà quasi tutto il capitale riscosso investito in una Mercedes.Il cinema,e la visione della Sicilia,di Ciprì,mostra i dettagli di uno squallore desolante,di cui lo spettatore che non si fa intimidire giunge anche a sorridere,e di una grettezza umana in cui nessun dolore può spuntarla sulle regole della sopravvivenza così insite nell'italiano.E in questo caso,allora,si può leggere il film come una metafora dell'Italia,in cui le generazioni più avanti con gli anni,pur dolendosene,non esitano a fagocitare le possibilità e le vite dei giovani,relegandole in un angolo a sprecare esistenza e futuro.Recitato più dalle facce che dai corpi,trova in Toni Servillo che si confonde in un personaggio che già dalla postura sta tra il goffamente ridicolo e l'ottuso al limite della disperazione,un capocomico duttile che non si preoccupa di offrire gli spigoli meno simpatici del carattere;più "film" dei titoli precedenti di Ciprì,con una progressione da tragicommedia efficace,che nel finale spietatamente fa quadrare i conti e,senza avvisare,mette sul gozzo al pubblico tutto il dramma che ha dentro.
IL MORALISTA ( I, 1959)DI GIORGIO BIANCHICon ALBERTO SORDI, Vittorio De Sica, Franca Valeri, Maria Percy.
COMMEDIAUn esempio perfetto della tesi che vuole un mattatore come Alberto Sordi talmente bravo e in un ruolo memorabile da rendere migliore di quel che è un film."Il moralista", satirico ma non velenoso abbastanza, è una commedia in cui Sordi può costruire uno dei suoi caratteri migliori, più personali e "terribili", con uno sfoggio di espressioni odiose e da vero meschino, che fa il paio con l'impeccabilità fanfarona del suo partner Vittorio DeSica.Arricchisce il tutto la "rompi" Franca Valeri, interprete straordinaria anche quando, come in questa occasione, sottoutilizzata.
LA STORIA INFINITA ( Die unendliche Geschichte, D 1984)DI WOLFGANG PETERSENCon BARRET OLIVER, NOAH HATAWAY, Tami Stronach, Tilo Pruckner.
FANTASTICODal romanzo più famoso di Michael Ende,Wolfgang Petersen girò quella che voleva essere la risposta europea ai kolossal spettacolari ricchi di effetti speciali provenienti dagli USA.Il film è ovviamente semplificato, scremando il grosso romanzo a giovamento delle masse di spettatori, che forse avrebbero trovato non troppo spettacolari alcuni passaggi.Però, considerato anche che si tratta di un film di più di vent'anni fa,"La storia infinita" ha una buona tenuta spettacolare, fa un discorso abbastanza elementare, magari, ma apprezzabile sulla necessità della fantasia, e non è quasi mai stucchevole, anche se il rischio che lo diventasse c'era, e non poco.Ha avuto un paio di sequels abbastanza inutili, e fu un grande successo internazionale.
LA COMUNIDAD ( La comunidad, ES 2000)DI ALEX DE LA IGLESIACon CARMEN MAURA, Jesus Bonilla, Paca Gabaldòn, Eduardo Antuna.
GROTTESCOCome capita spesso ai film di Alex De La Iglesia, l'umorismo va a braccetto del macabro, e in talune sequenze si ha una sensazione di incertezza su come reagire a ciò che si vede , se sogghignare o storcere la bocca disgustati:piccolo saggio acido sulla Grettezza Umana,"La comunidad" ha brio e gode della circostanzialtà della sua ambientazione, quasi tutta in un grande palazzo che potrà sembrare quasi maledetto, e la sempre bravissima(e tuttora affascinante, aggiungerei) Carmen Maura preda-macchinatrice a cercare di assicurarsi un bel malloppo nascosto e a salvare contemporaneamente la pelle dagli avidi e spietati coinquilini del fabbricato.Finale sui tetti , quasi in stile classico hitchcockiano, ma in maniera più folle e irregolare, conclusione amabilmente sarcastica, anche se forse il film sarebbe stato migliore se più corto.
CHE? ( What?, I 1972)DI ROMAN POLANSKICon SYDNE ROME, Marcello Mastroianni, Hugh Griffith, Romolo Valli.
GROTTESCOA riprova che una firma non sempre garantisce cose ben riuscite, "Che?" segnò , dopo il funesto "Macbeth" e la tragedia personale di Bel Air, per Roman Polanski, la possibilità di un nuovo film brillante, da ricollegare alla parodia vampiresca di "Per favore,non mordermi sul collo": ma l'avventura grottesca dell'americanina Sydne Rome( peraltro di notevole avvenenza, qui) finita in una villa che pullula di porconi tirati a lucido per sfuggire a dei bruti che hanno tentato di violentarla , non appena giunta sulla costiera amalfitana, non rappresenta il miglior cinema dell'autore di "Chinatown". Opera buffa che non possiede nè verve indiavolata, nè umorismo particolarmente graffiante, deride un'insulsa aristocrazia squinternata, con un finale "smontacinema" , con la protagonista, novella Candida in fuga, che grida all'amante toccato Mastroianni che il film così deve finire. Al di là dei facili applausi a un autore di gran valore, non vedo niente di particolarmente riuscito in questo film, a parte la fotogr
DISTRICT 9 (District 9,USA/SAF/NZ,2009)
DI NEILL BLOMKAMP
Con SHARLTO COPLEY,David James,Jason Cope,Vanessa Haywood.
FANTASCIENZA
Sono alti,a metà tra una cavalletta e un gambero giganti,mangiano rifiuti,cibo per gatti (ma non disdegnano altre cose...),saltano e si esprimono in un idioma fatto di grugniti e versi quasi singhiozzanti,ma elaborano una tecnologia avanzatissima con pochi elementi a disposizione:gli alieni approdati sopra Johannesburg,in una data imprecisata,più o meno ai giorni nostri,vengono dapprima fatti scendere dalla grande astronave che gravita sopra la metropoli,poi internati in un centro di accoglienza-bidonville che sembra un campo di concentramento,e le tensioni tra loro e la popolazione locale cresce sempre di più,fino a generare una guerriglia vera e propria.Attenzione,però,non sono gli alieni i cattivi:gli umani,come risaputo,possono essere la specie più crudele e spietata presente su questo pianeta,se ne hanno modo e libertà da limitazioni di coscienza o civiche.Il film di Neill Blomkamp che si è rivelato un caso,tanto da guadagnare attenzione generale molto accesa,e anche se non ha totalizzato incassi spaventosi,ha fatto trovare al regista sudafricano la via delle grosse produzioni (a breve vedremo "Elysium",altra fantascienza intrisa di socialità con Matt Damon e Jodie Foster),ha la cornice del mockumentary,e procede montando la suspence,come un thriller d'azione:il film ha il merito di trovare un protagonista non necessariamente simpatico,umano ma con difetti notevoli,e di far provare un'empatia allo spettatore con le creature isolate,tormentate,massacrate da quelli a noi più simili.Considerata l'ambientazione,ricordando la tragedia dell'apartheid ancora recente,il film mette in scena anche la tendenza a schiacciare chi sta ancora peggio o è diverso.Violento,con qualche passaggio che andava forse reso più fluido,"District 9" è fantascienza ben congegnata,che alterna un'energia grezza alla capacità di abbozzare discorsi ampi e a sfondo sociologico complesso.
IL MONDO NUOVO ( La nùit de Varennes, F/I 1981)DI ETTORE SCOLACon JEAN-LOUIS BARRAULT, Hanna Schygulla, Marcello Mastroianni, Harvey Keitel.
DRAMMATICOIl "periodo francese" di Ettore Scola, che culminò con "Ballando Ballando", nel 1983, generò anche questa coproduzione ambiziosa atta a raccontare la fase antecedente alle ghigliottine, prendendo spunto da un viaggio fortunoso in diligenza compiuto da un manipolo assortito di personaggi pittoreschi, con l'apporto di un Giacomo Casanova in pieno disfacimento , interpretato con ironia notevole da un sapido Mastroianni. Il film ha forse anche troppo peso sulle spalle, e a tratti indugia eccessivamente nel letterario, i dialoghi puntano al surreale, e la comunque ottima vena narrativa di Sergio Amidei fa assumere alla sceneggiatura una difficoltà nel tramutarsi in opera filmata non sempre risolta con successo. Però, "Il mondo nuovo", con i suoi passaggi lenti, e qualche pecca, è da considerarsi un film storico interessante, con punte di cinema alto, e un finale che sfocia in un colpo di genio, "forando" con un semplice movimento della macchina da presa due secoli, per sottolineare l'immobilità parziale dell'Uomo di fronte alla Storia. Per me, Ettore Scola è stato uno degli autori più importanti dell'Italia cinematografica: quanto mi è mancato, negli ultimi anni.
WHAT WOMEN WANT-Quello che le donne vogliono( What women want, USA 2000)
DI NANCY MEYERS
Con MEL GIBSON, Helen Hunt, Marisa Tomei, Lauren Holly.
COMMEDIADifficilissimo per l'uomo, in generale, inerpicarsi per i complessi tornanti della mente femminile: e se fosse possibile per un macho , figlio di buona donna, sufficientemente cinico e senza scrupoli sentimentali percepire ogni pensiero delle donne che incontra? L'idea, di per sè simpatica e stuzzicante, avrebbe forse avuto bisogno di sceneggiatura e regia più sottili, mentre questo film di grande successo commerciale la banalizza presto: nonostante la buona prova attoriale di un Mel Gibson qui autoironico , la regista Nancy Meyers scivola, dopo una prima parte abbastanza divertente, verso un finale da affogamento nel brodo di giuggiole puro. Va bene che siamo nel genere commediola rassicurante , ma , a rigor di logica, è mai possibile che un soggetto come il protagonista, dopo i tiri mancini giocati alle amanti, diventi un cuor gentile da mettere a rischio la propria immagine di maschio Alfa dicendo a una delle conquiste di essere gay per non ferirla? Oppure, il pentimento sostanziale circa la propria attività di conquistador per tramutarsi in eroe sanvalentiniano è accettabile? Visto il risultato, c'è da esser propensi per il no....
ALFIE ( Alfie, GB 1966)DI LEWIS GILBERTCon MICHAEL CAINE, Jane Asher, Shelley Winters, Julia Foster.
DRAMMATICOUscito appena dopo la metà degli anni Sessanta, "Alfie" è uno dei più caratteristici film della "Swinging London", e anche un ritratto aspro di un giovane che si manifesta cinico, senza compromessi , dedito a conquiste femminili ad ogni costo e senza rispetto altro che per se stesso, finchè non capirà che il tempo gli sfugge e l'esistenza gli riserva dei colpi bassi. La regia di Lewis Gilbert è allo stesso tempo elegante e fresca, con l'intuizione allora dirompente del protagonista che si rivolge allo spettatore, le finezze nell'illustrare le grettezze di Alfie ( il particolare del mazzo di fiori nascosto sotto l'impermeabile nella scena dell'ospedale) e il progressivo declino dai toni di commedia alla controllata cupezza della seconda parte, più drammatica. Il film però non sarebbe lo stesso senza l'apporto eccellente di Michael Caine, impagabile impenitente, seduttore e vile. Rifatto poco tempo fa con Jude Law al posto di Caine, è un lungometraggio che presentava le avvisaglie dell'imminente rivoluzione sessuale, cominciando addirittura con un amplesso in automobile, scena quasi impensabile fino a quell'epoca.
MARNIE ( Marnie, GB 1964)DI ALFRED HITCHCOCKCon TIPPI HEDREN, SEAN CONNERY, Diane Baker, Martin Gabel.
THRILLERE'un episodio atipico nella filmografia hitchcockiana, una sorta di melò con alcune delle caratteristiche del thriller, che nel finale lascia scaturire tutta la sua componente inquietante.Film in cui la regia dell'autore de"Gli uccelli" tende a concentrarsi di più sugli snodi della trama e la conduzione degli interpreti che su vere e proprie reinterpretazioni del modo di guardare della macchina da presa,"Marnie" è la storia di una sessualità repressa per via di un trauma, ma che aleggia fin dall'inizio sulla relazione tra i due protagonisti,Tippi Hedren e Sean Connery, belli e a disagio nelle situazioni in cui Hitchcok li mette.La ricostruzione del delitto che , in anni lontani, ha chiuso la mente di Marnie su certe cose si rifà forse al caso di Lana Turner e Johnny Stompanato, e tornano caratteristiche del cinema hithcockiano come le madri dispotiche e inibitrici, la colpa vissuta come tormento delle aspirazioni attorno alla sfera sessuale, l'amore come sentimento pericoloso perfino per la sopravvivenza.E la ricostruzione di un fatto di sangue avvenuto nel passato , compiuta da una voce di bambina per bocca della donna quale è divenuta, è una cosa che lascia poco tranquilli.
NUDO DI DONNA ( I, 1981)
DI NINO MANFREDI
Con NINO MANFREDI, ELEONORA GIORGI, Carlo Bagno, George Wilson.
DRAMMATICONino Manfredi da regista è stato un caso anomalo, capace di ottenere un successo incredibile con l'esordio,"Per grazia ricevuta", poi in seguito sempre guardato con diffidenza soprattutto dalla critica, forse non sempre a ragione. Ad esempio,"Nudo di donna" è un curioso mélange di giallo, commedia adulta e film psicologico, sull'animo della Donna:ben aiutato da un cast credibile, in cui spicca un divertente Carlo Bagno, libraio burbero, Manfredi azzarda una riflessione sulla difficile, a tratti impossibile, insondabilità dell'identità femminile, e dichiara una resa, seppur onorevole, del maschio di fronte al mistero della Donna.E' un film più sincero di quanto non voglia dichiarare,"Nudo di donna", con momenti di ironia acuti, e una sottile malinconia come collante.Da rivalutare.
METEOR ( Meteor, USA 1979)DI RONALD NEAMECon SEAN CONNERY , NATALIE WOOD, Karl Malden, Brian Keith.
FANTASCIENZALo schema è quello, c'è poco da fare:un cast fatto di nomi e facce note, una catastrofe che accade a inizio film o verso la conclusione,un intreccio di conflitti e collaborazioni, un protagonista spesso fuori dal gruppo verso il quale molti provano iniziale diffidenza, ed effetti speciali costosi."Meteor", diretto da Ronald Neame, non uno dei nomi che hanno reinventato il cinema americano, è un onesto prodotto spettacolare che va ad inserirsi nel filone catastrofico di "Airport","Terremoto" e "L'inferno di cristallo":sebbene un pò in ritardo rispetto all'ondata favorevole che accolse questo genere di film, è stato uno dei primi titoli hollywoodiani che auspicavano la fine della Guerra Fredda in nome dell'Umanità.Anche se la collaborazione missilistica di USA e URSS vede le armi di questi ultimi fare perlo più cilecca...
TOY STORY 2-Woody e Buzz alla riscossa
(Toy Story 2,USA 1999)
DI JOHN LASSETER
ANIMAZIONE
COMMEDIA/AVVENTURA
La banda di giocattoli senzienti che ottenne un successo clamoroso,e in pratica lanciò la Pixar nel 1995,ritornò dopo quattro anni sugli schermi,a grande richiesta,con un'altra avventura in cui,se nel primo capitolo era toccato al cowboy Woody inventarsi una maniera di coinvolgere gli altri balocchi del bambino Andy nel salvataggio dell'astronauta Buzz,quest'ultimo rende il favore organizzando una spedizione assieme ad altri cinque "colleghi" (sicuramente quelli che sono venuti fuori da un test fatto tra vendite di merchandising e sondaggi,dalla produzione,come i preferiti...) per recuperare il dinoccolato Woody,rubato da un collezionista e proprietario di un market di giochi,come pezzo da collezione per guadagnarci fior di dollari.Lo schema,a grandi linee,è quindi il medesimo della prima avventura,però John Lasseter,che è un conoscitore di cinema e cultura pop piuttosto vispo,dissemina di citazioni la pellicola (la saga di "Star wars" soprattutto,con finezze che fanno sorridere lo spettatore cinefilo),e gioca su ritmo e buona costruzione dei personaggi:inoltre,l'idea alla base della serie individua qualcosa che ogni spettatore ha provato da bambino,la fantastica ipotesi che i giocattoli abbiano un'anima e una vita propria quando non sono visti,e va dato atto alla Pixar di migliorie perpetue nella qualità dell'animazione e dell'attenzione ai dettagli.Magari ad un certo punto,nonostante un ritmo sostenuto del racconto,si prova la sensazione di una ripetitività di situazioni e gags alla quale non si sfugge del tutto,ma "Toy story 2" è un buon sequel,che diverte e mette in campo letture analitiche di prim'ordine.
OTHELLO (Othello,USA 1952)
DI ORSON WELLES
Con ORSON WELLES,Michael MacLiammoir,Suzanne Cloutier,Robert Cloote.
DRAMMATICO
L'ira ingelosita del Moro,raccontata con indimenticabile forza dal Bardo,visto che da secoli è divenuta proverbiale e citatissima,fu portata sullo schermo anche da Orson Welles,con una pellicola,come spesso capitava al genio di "Quarto potere",portata avanti con difficoltà somme,a partire dalle complicazioni economiche,e agli scontri con produttori e case cinematografiche.Welles dirige e interpreta una versione visivamente forte,a tratti barocca,della crudele tortura psicologica dell'infame Iago,qui forse più che in altre occasioni screziata dell'attrazione del servitore per il condottiero:tra luci ed ombre,più facilmente nelle seconde,è svolta la tragedia che vedrà soccombere una donna colpevole solo di esser bella,l'esser ricacciato via dallo status conquistato per Otello,nero e anomalia nelle stanze del Potere,i conflitti interni anche tra vincitori e conquistatori,dopo aver raggiunto un obiettivo.Il grande Orson ha frequentato Shakespeare in altri frangenti,e,truccato da Moro di Venezia,aggiunge enfasi al pathos di un dramma senza tempo,gira tra Italia e Marocco il "suo" Otello,una lavorazione accidentata lunga tre anni e vincitrice,poi,proprio a Venezia del massimo premio,pur se condiviso.La scena vibra,alcune accelerazioni sono avanguardia pura,e la regia procede a tratti maestosa,altre tenendo conto del passo necessario per raccontare una storia conosciutissima,dalla quale non si può evadere più di tanto:i dialoghi tra un Otello afflitto ed uno Iago indisponente e altezzoso fanno il paio con quelli tra lo stesso Otello dispotico e una Desdemona smarrita.Un'opera ancora giovane,sebbene siano passati sessant'anni dalla sua realizzazione,una lettura moderna ma ancorata al classico,senza tempo in mezzo.
WOLVERINE-L'immortale (The Wolverine,USA 2013)
DI JAMES MANGOLD
Con HUGH JACKMAN,Hiroyuki Sanada,Tao Okamoto,Rila Fukushima.
FANTASTICO/AZIONE
Gli artigli sfrigolano ancora,e Hugh Jackman,a 45 anni torna a indossarli per l'ennesima volta (ma non ultima,come minimo c'è ancora un capitolo che lo riunisce agli altri X-Men...) ,trasferendosi in Giappone,come ricordano i molti fans di Wolverine,in una delle sue avventure più epiche e memorabili:per il cinema,tale saga è stata variata,ma restano la tentazione di perdere l'invulnerabilità che è una sostanziale condanna a sopravvivere sempre e comunque,un nuovo trasporto sentimentale difficile da seguire,anche per i tormenti del dopo-Fenice Nera,e lo scontro con il colossale Silver Samurai.Il primo spin-off diretto da Gavin Hood non aveva convinto a fondo numerosi sostenitori del mutante più amato al mondo,e dopo quattro anni,eccolo di ritorno sotto la regia dell'eclettico James Mangold,in un'avventura ad alto tasso di spettacolarità,che viene fatta cominciare sotto il fungo atomico di Nagasaki e fatta finire nel Giappone odierno."Wolverine-L'immortale" è più riuscito nella risolutiva parte seconda che nella prima,in cui a un inizio interessante (ricordiamoci che è uno dei pochi film USA a mostrare la vergogna inumana del bombardamento nucleare del Giappone...) fa seguire una presentazione degli avvenimenti non oliatissima,che va avanti qua e là con qualche affaticamento.Poi,quando l'eroe tira fuori di nuovo la sua parte bestiale il ritmo si fa più sostenuto e la pellicola più coinvolgente,imbroccando una via epica allo scatenarsi della natura belluina di Logan-Wolverine,qua e là strizzando l'occhio a pellicole come "Si vive solo due volte","Kill Bill" e "L'ultimo samurai".Jackman impersona con aderenza ormai spontanea il personaggio Marvel,e Mangold,che ha il difetto di essere fin troppo eclettico,avendo in carriera realizzato commedie sentimentali,drammi polizieschi o sui disagi psicologici,o ancora thriller-rompicapo,nel dipingere la caduta e resurrezione dell'artigliato spaccatutto trova la chiave giusta prediligendo l'azione all'implosione psicologica del protagonista.