PICNIC (Picnic,USA 1955)
DI JOSHUA LOGAN
Con WILLIAM HOLDEN,KIM NOVAK,Rosalind Russell,Cliff Robertson.
DRAMMATICO
Come spesso raccontato dal cinema,la provincia americana è un pentolone ben decorato,ma che può covare marciume o cose poco edificanti,sotto una cornice meccanicamente gaia,che un elemento sconosciuto può fare imbizzarrire,e lasciar emergere dal magma roseo il suo peggio:un "hobo",vagabondo a cavallo dei vagoni dei treni,ritorna dopo molti anni in un paese in cui è cresciuto,e basta la sua presenza a torso nudo per scompigliare,nei borghesissimi e ovattati Fifties,l'ordine precostituito di unioni matrimoniali programmate,una fasulla collettività che premia egoismi e ripetizioni croniche di un vissuto laccato,ma senza emozione.Esordio alla regia per Joshua Logan,che portò sullo schermo un lavoro teatrale ambito e spigoloso,per l'epoca,che coraggiosamente e vestendosi da melò,in realtà agendo da critica avvelenata a certa impostazione ultraconservatrice,regala l'occasione per grandi performances a William Holden,duro,ribelle ma di fascino rude sulle signore,e più onesto di quanto venga pensato e detto sul suo personaggio,e a Kim Novak,bellissima,fragile e più limpida di quanto il panorama attorno a lei possa essere:numerose le ottime parti secondarie,dalla zitella senza ritegno,prigioniera della propria paura di rimanere sola e additata dai compaesani come caso umano Rosalind Russell,a Susan Strasberg,e Cliff Robertson,un'opera che può contare su attori validi e ruoli ben scritti.Che si permette di negarsi il lieto fine,ma tuttavia non chiude la porta ad una possibilità di cambiamento,di speranza su una seconda possibilità che ne decreta la serietà d'intenti.
OPERAZIONE PAURA (I,1966)
DI MARIO BAVA
Con GIACOMO ROSSI STUART,ERIKA BLANC,Micaela Esdra,Fabienne Dali.
HORROR
Da argentiano di lungo corso,mi stupisce sempre di più scoprire che il cinema dell'autore di "Phenomena" è sì notevole,fino ad un certo periodo,ma è la versione,per certi versi,de luxe e meglio resa di spunti già escogitati da un maestro dell'artigianato cinematografico com'è risultato Mario Bava.E non solo Dario Argento gli deve tanto:qui,la splendida idea del "Toby Dammit" della bambina-fantasma e di un pallone che da soli,in scena,fanno gridare all'inquietudine la circolazione sanguigna dello spettatore,è originale. Horror gotico all'italiana,con qualche ingenuità dichiarata forte e chiara,e un'economia di mezzi forzata,che ha nel protagonista Giacomo Rossi Stuart,valido come comprimario,ma non abbastanza da reggere un film intero sulle spalle,un eroe di poco sugo e tutto sommato influente sulla vicenda solo come testimone,perchè nel Male e nel Bene tutto viene ordito dai personaggi femminili,"Operazione paura" è un titolo da recuperare nella cinematografia nostrana degli anni Sessanta,come un lavoro già avanti per allestimento e utilizzo del mezzo-cinema,forgiando,di fatto,molto dell'immaginario collettivo,settore orrorifico,che sarebbe venuto,comprendendo anche un ambito come il porno a fumetti mescolato all'orrore,con serie quali "Jacula","Oltretomba" e via enumerando,oggi considerate alla stregua di piccoli classici del trash. E,oltretutto,in un racconto che ha in una scansione di ritmo ben tenuta uno dei suoi punti di forza,viene sottilineato come ignoranza e omertà siano intrecciate indissolubilmente,a favorire i giochi sporchi di chi detiene un Potere malato,quasi a voler parlare di altri argomenti,più seri,vestendoli di metafora fantastica.
UNDISPUTED (Undisputed,USA 2002)
DI WALTER HILL
Con WESLEY SNIPES,VING RHAMES,Michael Rooker,Peter Falk.
DRAMMATICO
Un campione del ring in prigione,che sfoggia arroganza e presunzione,che viene portato in un carcere in cui periodicamente si svolge un incontro di pugilato con regole all'antica e che frutta soldi di scommesse come quelli fuori:anche se può sembrare fantascienza,è una cosa che potrebbe anche accadere davvero in USA.Si contrappongono due pesi massimi neri,Ving Rhames,che rifà più o meno la parabola assurda di Mike Tyson,e Wesley Snipes,due modi di essere numeri uno in uno sport che,come ricorda un personaggio,"non è assolutamente un gioco",e che il cinema ha saputo raccontare più di altri,ora in maniera romantica,altre volte in modo più crudo e disincantato.Walter Hill ha girato negli ultimi anni,purtroppo,assai meno che nelle decadi precedenti,e pur essendo discutibile assai a livello civico,dato che i voleri di un boss mafioso decretano lo svolgersi o meno della disputa,alla faccia delle autorità penitenziarie,all'interno del luogo di detenzione,"Undisputed" è realizzato con i canoni del "B-movie",ma ha dalla sua un ritmo incalzante,una concretezza narrativa ed una tensione ben resa,come non è semplicissimo riscontrare in un lungometraggio di genere.Si giunge al confronto conclusivo senza enfatizzazioni,senza retorica,limitandosi a presentare i fatti senza suscitare eccessive simpatie per nessuno dei due contendenti,anche se è chiaro che il più misurato Snipes ha il sostegno del regista e del pubblico.Il film non ebbe una distribuzione ben condotta e finì sul mercato dell'home video repentinamente e senza avere le possibilità che invece avrebbe meritato.
RED LIGHTS (Red lights,ES 2012)
DI RODRIGO CORTES
Con CILLIAN MURPHY,SIGOURNEY WEAVER,ROBERT DE NIRO,Elizabeth Olsen.
THRILLER
Le luci rosse del titolo non hanno niente a che fare con la pornografia,ma sono,secondo gli smascheratori di fenomeni paranornali fasulli,il segnale che gli eventi di cui stanno vagliando la veridicità non siano reali.Nel film di Rodrigo Cortès,salito ad un piano importante dopo il successo della scommessa "Buried",horror ambientato nello spazio angusto di una bara,che si ritrova star conclamate anche se da un pò troppo avvezze a partecipazioni de luxe in film non del tutto imperdibili,come Sigourney Weaver e Robert De Niro,e un buon attore come Cillian Murphy come protagonista,riappare dal passato un medium che ha avuto un periodo di forte notorietà,e dopo anni di sparizione,la televisione si occupa del personaggio con clamore (anche troppo,sia pur in un ambito di esaltazione della mediocrità di molti media odierni,vedi operazioni come "Grande Fratello" e affini).Alla psicologa Weaver e al suo collaboratore Murphy l'incarico di valutare e ispezionare se il misterioso uomo è un truffatore o un vero fenomeno,che annuncia clamorose rivelazioni.Il film gioca tutto sul colpo di scena conclusivo,un pò alla maniera dei titoli più riusciti di M.Night Shyamalan,il guaio è che non trova mai ritmo,e viaggia su una certa piattezza,cui Cortès non sa imprimere nè vigore,ne elaborazione della suspence:nemmeno Shyamalan è un velocista,narrativamente parlando,ma quando è in vena,sa sviluppare,un pò come Clint Eastwood,una scansione accurrata del racconto,che via via forma una tensione concreta.In "Red lights" questo non c'è,e se una delle sorprese viene sprecata risultando come un accadimento forzato,quasi, non ci si appassiona praticamente mai al film,constatando ancora,pur sperando di sbagliarsi,che la carriera di De Niro è ad un impasse duraturo,purtroppo,con una prestazione esangue come questa,e che la Weaver,più in parte del collega,non viene sfruttata a dovere.Come thriller fa affiorare troppa noia,come film fantastico non ha benzina per volare.
LO HOBBIT-Un viaggio inaspettato
(The Hobbit:An unespected journey,USA/NZ 2012)
DI PETER JACKSON
Con MARTIN FREEMAN,IAN MCKELLEN,Richard Armitage,Ken Stott.
FANTASTICO/AVVENTURA
Dopo essere stata inizialmente assegnata a Guillermo Del Toro,per poi passare nelle mani dapprima riluttanti dell'autore della trionfale cavalcata de "Il signore degli anelli",è partita la nuova trilogia legata all'universo tolkieniano di Peter Jackson,che,attingendo dal romanzo scritto precedentemente,benchè più breve del trittico sulla caccia all'anello di Sauron,viene scomposto in tre capitoli.Jackson,mettendo subito le mani avanti,ha specificato che per farne tre film ha immesso nella storia originale elementi tratti da altre opere di J.R.R.Tolkien,e ha conosciuto un pò di freddezza nelle prime recensioni ufficiali.Però,pur all'interno di un primo episodio che deve introdurre la nuova avventura,stavolta non indirizzata ad una guerra totale di forze tra Luce e Tenebra,quindi non metafora della guerra tra Ordine e Caos,ma una rivalsa di un popolo derubato da un mostro,il drago Smaug,"Lo Hobbit-Un viaggio inaspettato" ha il vantaggio di non dover introdurre lo spettatore al mondo fiabesco e fantastico in cui è ambientata l'epopea che comprende,oltre ai piccoli ominidi dai grandi piedi,anche stregoni,elfi,orchi e tante altre creature:e quindi,se nel primo terzo di racconto viene usato un registro brillante per far incontrare Bilbo Baggins,la truppa di nani inferociti e Gandalf,poi il film prende il verso di un'epopea avventurosa,con ritmo ben oliato e squarci di epica di grande respiro,con citazioni volontarie (su tutte la lotta con gli orchi e i goblin che rimanda alla lunga sequenza spielberghiana nei tunnel del secondo "Indiana Jones") e l'intelligente "nascondimento" del drago,di cui sono visibili solo alcuni dettagli,con inevitabile inquadratura che incuriosisce il pubblico nel finale.Jackson è uno dei registi,al momento operativi,che meglio sa imprimere profondità e pittorica aria al proprio cinema,giocando tra primi piani e spazi grandi con perizia e abile senso dello spettacolo.Attore da commedia,Martin Freeman è disinvolto e duetta anche con Gollum,che riappare in una lunga scena,e,oltre a Ian McKellen nelle vesti di un Gandalf meno esperto e qualche volta in preda a un sorpreso imbarazzo,si rivedono Galadriel,Elrond,Frodo,senza badare al decennio trascorso dall'uscita della saga che arrivò a vincere l'Oscar.E forse,in prospettiva,questo primo film è più efficace del corrispettivo dell'altra saga:aspettiamo quindi gli sviluppi di questo nuovo evolversi che,in realtà,racconta fatti precedenti a quelli,com'è noto...
L'UOMO CHE UCCISE LIBERTY VALANCE
(The man who shot Liberty Valance,USA 1961)
DI JOHN FORD
Con JAMES STEWART,JOHN WAYNE,Lee Marvin,Vera Miles.
WESTERN
Il West al cinema è da sempre terra di sogni,leggende,confronti violenti,cose risolte con la violenza,romanticismo e sangue:una Terra Promessa in cui la pistola spesso chiude i rapporti,o una volta per tutte spazza via vite,e fa saltare gli equilibri,nella quale la mano sul calcio dell'arma è portata con indifferenza da chi ha fatto della legge del più forte la regola sine qua non del vivere,o con rassegnata disperazione dagli altri che non hanno più altro modo di scampare alle angherie,e si preparano ad un duello risolutore."L'uomo che uccise Liberty Valance" è un western anomalo nella filmografia di John Ford,uno dei maggiori autori di questo genere,americano fino al midollo e oltre,che altri hanno saputo fare anche in Europa (è ovvia la citazione di Sergio Leone):l'azione è racchiusa nello spazio di una cittadina,con rare uscite sotto ampi cieli e sconfinate praterie,le armi a canna media e lunga lasciano spazio a quelle verbali della politica,e gli eroi sono condannati ad un'esistenza grama,perchè non c'è spazio nel futuro per loro.L'assassinio di un bravaccio crudele e senza cuore,attribuito ad un mite avvocato,compiuto invece da un ruvido cowboy che accetta di perdere la donna del cuore per amicizia,impazzendo quasi dal dolore,e forse anche perchè sa di non poterle offrire una vita che ritiene consona a lei,il ricordo dovuto e duraturo di un gesto nobile nascosto non per codardia,ma per rispetto di chi lo ha compiuto,sono elementi fondamentali di un grande film western,che limita al massimo l'azione vera e propria,per risultare un dramma vero e proprio,robusto e sentito.Grandi sia Stewart che Wayne,intenti a realizzare personaggi il cui carattere hanno interpretato più volte,l'Uomo sobrio,onesto e contrario alla violenza,e l'Uomo duro e temuto,insofferente alla prepotenza e testardo,e fa la sua figura anche il villain Lee Marvin,che dà a Liberty Valance la pericolosità di un serpente a sonagli.Romantico,in un bianco e nero elegiaco,un film da rivedere almeno due volte per essere compreso appieno.
AMORE,RITORNA! (Lover,come back!,USA 1961)
DI DELBERT MANN
Con ROCK HUDSON,DORIS DAY,Tony Randall,Jack Oakie.
COMMEDIA
Per essere una commedia uscita all'inizio degli anni Sessanta,era abbastanza audace,circa un tema che nel cinema mainstream americano ha causato sempre molti più problemi che la violenza,per esempio:in "Amore,ritorna!",con l'inganno,i due pubblicitari nemici Doris Day e Rock Hudson,per la legge degli opposti (ma siamo sicuri?) che si attraggono,così come può risultare vero che alla fine "chi si somiglia,si piglia",finiscono a letto insieme e addirittura sposati senza ricordarselo dopo aver ceduto all'ebbrezza.Satira sulla pubblicità e sulla faciloneria del pubblico,che si lascia manovrare da chiunque abbia un'intuizione azzeccata,il film di Delbert Mann non è forse indimenticabile,ma ha ritmo,non appare datato e ,oltre a contare sull'affiatamento artistico dei due protagonisti,autentica coppia d'oro del periodo per la commedia brillante,ha la fortuna di aver pescato un comprimario di gran vigore come Tony Randall,la metà della celebre "Strana coppia " televisiva,che offre brio,e un umorismo vivace e puntuale nel riscuotere il sorriso. Cinema come se ne faceva una volta,ma con il pregio di una modernità già implicita,che ne rende gradevole la visione e fa seguire la trama,non imprevedibilissima,sull'onda di un umore positivo.
WAMPYR (Martin,USA 1976)
DI GEORGE A.ROMERO
Con JOHN AMPLAS,Lincoln Maazel,Elaine Naydeau,Christine Forrest.
HORROR
Uscito a metà anni Settanta,riproposto dopo la collaborazione tra George A.Romero e Dario Argento per realizzare "Zombi",con nuovo montaggio coordinato dal regista italiano,all'epoca all'apice del proprio successo,e colonna sonora nuova dei Goblin,"Wampyr" si intitolava in realtà "Martin",e narra l'impazzimento sanguinario di un giovane che il nonno,proprietario di un negozio avviatissimo di generi alimentari e ossessionato dall'idea che il nipote sia un vampiro,ossessiona il ragazzo con continui improperi e accusandolo di essere un "nosferatu" maledetto che porterà la rovina sulla loro famiglia.In effetti il vecchio,per quanto invadente e ossessivo,non ha tutti i torti,perchè il giovane è un assassino psicopatico che non riesce a reprimere l'istinto omicida e uccide giovani donne con lamette e altro,dissanguandole e bevendone il sangue dalle ferite.Che Romero abbia realizzato cose migliori è abbastanza scontato,e che il pesante rimaneggiamento da parte di Argento,con il quale,una decade dopo,il regista americano realizzò il film a episodi "Due occhi diabolici",influisca negativamente sul film è evidente."Wampyr" procede con passo delirante,come un incubo,attraversato da dialoghi ad un passo dall'insensato,come appunto tutto fosse scaturito all'interno di un brutto sogno:tempestato dalle musiche anche troppo presenti di Simonetti & C. potrebbe raccontare con schietta crudezza un disagio giovanile marcatissimo e opprimente,ma diventa un horror scombiccherato,con accenni erotici e qualche sequenza sanguinaria,che giunge ad un finale brusco e senza progressione narrativa vera e propria.Recitato con approssimativa inadeguatezza,è per qualcuno un nascosto "cult",ma così com'è proposto rende difficile ogni tipo di valutazione.
BODYGUARDS (I,2000)
DI NERI PARENTI
Con CHRISTIAN DE SICA,MASSIMO BOLDI, Biagio Izzo,Enzo Salvi.
COMICO
Dopo averli fatti viaggiare nel tempo,sulla neve al di qua e al di là dell'oceano,averli fatti impersonare tifosi acerrimi,specialisti nello scoop fotografico,averli fatti piombare nell' antica Roma,poteva sfuggire l'occasione di far diventare guardie del corpo maldestre e dalle azioni catastrofiche Massimo Boldi e Christian De Sica,con annessi nuovi complici come Izzo e Salvi,per Neri Parenti?Eh no,e come per "Paparazzi",si includono nella comica natalizia personaggi della tv generalista come Marzullo,Gilletti,Anna Falchi,con guest star l'ex-diva degli spot telefonici Megan Gale e la star della passerella Cindy Crawford.Perchè il famoso pubblico che si ritrova in massa solo nei giorni intorno al Natale,garantendo incassi miliardari alla banda Parenti & C. è quello che per tutto l'anno si diletta con Vespa e questi altri personaggi,per poi ritrovarseli al cinema sempre impegnati a riproporre le maschere indossate sul piccolo schermo.Con "Bodyguards" siamo a uno dei livelli più bassi della già poco esaltante serie che da quasi trent'anni fa il botto per due settimane,piazzandosi in vetta alla classifica annuale del box-office italiano,sparendo poi dalle sale per tornare trionfalmente in numerosi passaggi televisivi.Volgarità a piè sospinto,battute già loffie quando partono,una scarsità di estro narrativo grave,e le solite pseudobuffonate della cricca,senza spirito nè verve. Il risultato è che il filmetto stufa ancora prima di arrivare a metà proiezione,come quelle rappresentazioni di avanspettacolo trite e meccaniche ormai,che cominciano a dare più sul patetico che sul divertente.Infatti,è stato tra i risultati commerciali più bassi della serie dei "cinepanettoni",e probabilmente anche dai più accaniti fans uno dei più dimenticati,tra le fregole en travesti di De Sica,i danni fatti da Boldi,e le accelerazioni a base di cessi e parti basse,ma proprio in fondo, degli altri due similcomici unitisi ai due titolari.
MAGIC (Magic,USA 1978)
DI RICHARD ATTENBOROUGH
Con ANTHONY HOPKINS, Ann-Margret,Burgess Meredith,Ed Lauter.
THRILLER
Il ventriloquo è una specializzazione che il cinema ha sempre inquadrato reputandola inquietante,anche quando,magari,il personaggio può venir fuori in una commedia brillante.Su un uomo che,pressato da troppe frustrazioni,vuole sfondare nello show-business in giro per locali mostrando quanto sia abile a fare il ventriloquo,appunto,e si sdoppia tra sè e il pupazzo cui presta la voce,Richard Attenborough girò un thriller minimalista,dopo il pesante insuccesso del magniloquente "Quell'ultimo ponte",che nonostante le cifre non risibili incassate risultò essere uno dei grandi fiaschi degli anni Settanta,mostrando la caduta nella schizofrenia sempre più pulsante di una mente compromessa. Affidando a Anthony Hopkins una delle sue prime parti da protagonista,mettendogli attorno pochi personaggi,permettendo così alla marionetta che risulterà il vero e proprio super Io del personaggio principale,Attenborough realizza un film drammatico,in cui la componente "gialla" è molto relativa,anche perchè il pubblico è a conoscenza fin dall'inizio della tendenza al panico violento del ventriloquo:scritto da William Goldman,che aveva realizzato un lavoro più articolato con la sceneggiatura de "Il maratoneta",il film ha qualche momento azzeccato,come la gita in barca all'insegna della tensione,con un omicidio sventato che,però,puntualmente,avviene poco dopo,ma se Hopkins qui appare troppo spesso sopra le righe e meno efficace che in ruoli successivi,e meglio assai di lui risulta il pacato e cinico Burgess Meredith, c'è da dire che Attenborough si conferma,una volta di più,un director ordinato e corretto,ma incapace di colpi d'ala e estro registico vero e proprio.Su uno spunto interessante,un film dispersivo e non sempre capace di catturare l'attenzione tesa dello spettatore.
SU E GIU' PER BEVERLY HILLS (Down and out in Beverly Hills,USA 1986)
DI PAUL MAZURSKY
Con NICK NOLTE,RICHARD DREYFUSS,BETTE MIDLER,Elizabeth Pena.
COMMEDIA
Paul Mazursky oggi è un nome un pò dimenticato,ma ci fu tutta la decade dal '70 all'80,in cui il regista aveva tirato fuori diverse commedie piacevolmente anticonformiste,molto segnate dallo spirito libertario del tempo,fu un regista piuttosto considerato e che si ritagliò uno spazio ben delineato non solo dagli appassionati del genere brillante.A metà anni Ottanta realizzò questa commedia intenzionalmente satirica,che prendeva di mira nuovi ricchi,filosofie pseudo-New Age,conflitti tra sessi nell'America in pieno reaganismo:lo spunto,come molti sanno,viene dalla pellicola francese "Boudu salvato dalle acque",e se si vuole,nell'estraneo che piomba in mezzo ad una famiglia ultraborghese stravolgendone equilibri e senso,si può rintracciare il canovaccio di "Teorema" di Pasolini.Lo straccione recuperato dalla piscina Nick Nolte,ove si era gettato per affogarsi,per essere rimasto solo,senza il proprio cagnolino,mette a soqquadro la famiglia altoborghese che lo salva dall'annegamento,e se diverte il capofamiglia Richard Dreyfuss,che se la fa con la domestica messicana Elizabeth Pena,la di lui moglie nevrotica e dedita a pratiche misticheggianti per cercare precari equilibri ben presto si porta l'intruso nel letto,con ampia soddisfazione,e il figlio che gira perennemente con una cinepresa in spalla tira fuori la sua più vera personalità... Il film ha momenti ispirati,e altri in cui viaggia di più sul risaputo,compreso un finale che vuol essere per forza di cose roseo, o passaggi non felicissimi:gli attori fanno bene il proprio lavoro,sopratutto l'accoppiata maschile Nolte-Dreyfuss,con qualche punto di vantaggio per il primo:il momento di confidenze sulla spiaggia al tramonto tra due uomini opposti per estrazione e indole è tra le cose più riuscite del film.Si sorride,si nota una sostanziale superficialità di fondo nell'intera operazione,e si conclude la visione pensando che "Su e giù per Beverly Hills" aveva i presupposti per essere un'ottima commedia,ma funziona a metà.
UN ITALIANO IN AMERICA (I,1967)
DI ALBERTO SORDI
Con ALBERTO SORDI,VITTORIO DE SICA,Franco Valobra,Alice Condon.
COMMEDIA
Regia numero tre per Alberto Sordi,che inverte l'assunto del suo leggendario "americano a Roma" per raccontare le disavventure di un poveraccio in terra d'America,per un ricongiungimento in tv con il padre da anni lontano,che lo porterà a vestirsi da gondoliere per il farsesco abbraccio in diretta davanti alle telecamere,e dietro al genitore che teoricamente ha fatto fortuna,sbriga affari continuamente,e in realtà è un parassita,vile e perennemente in fuga da tipi e tipacci.La cosa migliore di questo film diretto e interpretato da Sordi è la prova di Vittorio De Sica,in una delle ultime performances di peso di fronte alla macchina da presa,che mette qualcosa di personale in un personaggio avvezzo a giocarsi tutto a dadi e carte,si fa divorare dalla febbre del gioco,e tuttavia risulta più divertente del collega/discepolo,che è vecchiotto per la parte del figlio fregnone e talmente ingenuo da far cadere le braccia a chiunque.Lo sguardo del Sordi regista,coadiuvato dall'inzupposa musica di Piero Piccioni,spesso uguale a se stessa nelle varie colonne sonore composte per i film del commediante,è quello di un turista che rimane a occhi spalancati dalle luci ingombranti degli States,dalle sue strade piene di gente e,come descritte nel lungometraggio,vuote di umanità,in cui ad ogni angolo c'è l'occasione di mettersi nei guai. Già le prime due regie di Sordi avevano messo sull'avviso che nella veste di regista Albertone era assai meno talentuoso che come interprete,viziato infine dalle bacchettate un pò bigotte che non si è mai risparmiato in nessun film da lui diretto:questo è già un bel passo indietro,con poche occasioni per sorridere,e che trova solo nella ribellione al padre degenere in sottofinale una scena che ha qualcosa di che ricordarsi.Ma appunto,considerata la statura del Sordi attore,i film diretti da lui giungevano puntuali a deludere la critica,e spesso anche il pubblico,come in questo caso.
ARGO (Argo,USA 2012)
DI BEN AFFLECK
Con BEN AFFLECK,Bryan Cranston,John Goodman,Alan Arkin.
DRAMMATICO
Se ci eravamo un pò tutti piacevolmente sorpresi all'esordio di Ben Affleck dietro la macchina da presa,con "Gone,baby,gone",e le critiche erano proseguite elogiando anche "The town",noir moderno in cui Affleck tornava a recitare,ma in un film corale (personalmente lo trovai però meno interessante del suo primo film diretto),con il suo terzo lavoro siamo in piena progressione:"Argo" è un grande thriller drammatico,a sfondo politico-storico,come si usava fare negli anni Settanta,decade in cui parte la vicenda astrusa quanto tesa raccontata nella pellicola.Il fatto,tra l'altro,è stato declassificato dagli archivi della Cia molto più tardi,e la situazione da commedia degli equivoci,di americani intrappolati nel tumulto dell'Iran fresco dell'avvento del regime duro dell'Ayatollah Khomeini,e la presa dell'ambasciata USA, tirati fuori dal Paese fingendo che siano parte di una troupe canadese che effettuava i sopralluoghi per girare un film di fantascienza.Affleck,che si riserva la parte dell'esfiltratore Tony Mendez,che ha l'idea e effettua il viaggio di persona per liberare i sei connazionali che rischiano di venire catturati e torturati,ricostruisce accuratamente sia il clima rovente dell'epoca,senza eccedere in retorica patriottica,spiegando all'inizio del lungometraggio come avvenne,a grandi linee,l'insurrezione khomeinista,le colpe degli americani e il rischio di arrivare ad una guerra:il film,anche se le cronache ci hanno riportato come si sono concluse le cose,fa tenere lo spettatore sul chi vive per due ore piene di cinema vibrante,ben costruito (straordinario lo stratagemma narrativo della governante dell'ambasciatore canadese...)e tutto teso ad un finale al cardiopalma,in cui si è data probabilmente una versione romanzata di una vicenda già rocambolesca e quasi surreale,se non fosse per la componente potenzialmente tragica delle possibili conseguenze.Il cinema come ancora di salvezza,o meglio,il sogno che il cinema apporta alla Realtà,.e il coraggio di prendersi una responsabilità,anche quando la logica della sopravvivenza chiamerebbe fuori dalle questioni,raccontati con ottimo estro registico,buona mano nel condurre attori capaci (indimenticabili i controcanti brillanti di Goodman e Arkin,ma restano impressi il duro Bryan Cranston,il nevrotico Scott McNairy e l'affabile Tate Donovan) e una bravura nel gestire tempi narrativi e susseguirsi dei fatti raccontati che lasciano pensare che abbiamo trovato un autore ancora giovane,che potrebbe realizzare nuovi bei film.
I CORPI PRESENTANO TRACCE DI VIOLENZA CARNALE ( I,1973)
DI SERGIO MARTINO
Con SUZY KENDALL, Luc Merenda,Tina Aumont,John Richardson.
THRILLER
Chi uccide studentesse belle e di costumi un pò facili,vivendo dei flashback nell'atto dell'omicidio,riguardanti bambole distrutte? Un thriller a componente erotica abbastanza alta,dalla regia di Sergio Martino,che se si fosse specializzato nel porno-soft forse sarebbe diventato una figura di culto,per come inquadra i corpi femminili,e indugia sui momenti più pruriginosi,con un titolo di quelli che non passano inosservati ed entra di diritto nell'antologia "scult",che alla fin dei conti "piazza" nove morti,di cui un paio ammazzati anche in maniera piuttosto truculenta,e sembra procedere a balzi,assai fuori da ogni logica legata al giallo. Compaiono nomi tipici del B-movie,o del circuito commerciale più espicito,di quegli anni,come Luc Merenda,improbabile medico di campagna,la bionda Suzy Kendall,che proveniva da "L'uccello dalle piume di cristallo",John Richardson,Tina Aumont,e il film,tutto sommato,è meno peggio di altre produzioni "gemelle" del periodo,un'idea di regia c'è,un'attenzione per inquadrature e impostazione cinematografica pure,ma quel che manca è una tenuta narrativa che sia tale,con l'originale,quanto fuori luogo,espediente di tenere fuori campo la scena del triplo delitto (forse perchè praticamente impossibile da far credere allo spettatore),e della morte dell'assassino.Tra bei corpi nudi di donna e un deus ex-machina atto alla salvezza della protagonista,che più forzato non si poteva immaginare,emerge in sottofinale uno dei moventi più tirati per i capelli,dei serial killer cinematografici,che si potessero escogitare.
ANGOSCIA (Gaslight,USA 1944)
DI GEORGE CUKOR
Con INGRID BERGMAN,CHARLES BOYER,Joseph Cotten,Angela Lansbury.
THRILLER
La Bella nelle mani di una belva presentatasi con fare distinto e con charme,è uno dei molti temi ricorrenti nel thriller ad ambientazione familiare,inquadrando una storia sentimentale in cui la donna è la vittima di un intrigo che ne raggira l'innamoramento e alla lunga può rivelarsi una trappola mortale."Angoscia" di George Cukor è uno degli archetipi del filone,nel quale la soprano Ingrid Bergman si sposa con il gentleman Charles Boyer,completamente rapita dal savoir faire dell'uomo,che in realtà,a poco a poco,rivela un temperamento dispotico e tendente al collerico,se non si fa quel che egli vuole:e le brutte sorprese non sono finite...Cukor allestisce un bel thriller sentimental-gotico,in cui la tensione viene elaborata ad arte,con una protagonista bella e falsamente fragile,che rimane imprigionata in una ragnatela di inganni che vorrebbero farle crollare l'equilibrio mentale,ed un villain che scopre progressivamente l'ignobiltà di cui è capace.In un quadro di luci,ombre e penombre,il film si svolge con una prima parte benissimo congegnata,in cui si avverte una sottile aria di inquietudine e lo spettatore presagisce che la coppia da poco unitasi in matrimonio non è felice come vorrebbe mostrarsi,e forse ha qualche leggerissimo cedimento nello scioglimento del racconto,divenendo un pò prevedibile,ma il "numero" vendicativo con cui la Bergman affronta Boyer appena prima della conclusione merita una considerazione particolare.Tra paranoia montante ed effettiva pressione che le viene esercitata addosso,l'eroina in pericolo si riscatta con l'appoggio di un giovane investigatore,e ogni figura che ha spazio nella casa in cui è ambientata la maggior parte della storia assume connotati ambigui e vagamente sinistri,come le due cameriere. Un ottimo film,ben costruito e recitato.Oscar alla Bergman per questa parte,uno dei tre vinti dalla grande attrice svedese.
DI NUOVO IN GIOCO ( Trouble with curve,USA 2012)
DI ROBERT LORENZ
Con CLINT EASTWOOD,AMY ADAMS, Justin Timberlake,John Goodman.
DRAMMATICO/COMMEDIA
Aveva detto che non sarebbe più comparso davanti alla macchina da presa dopo "Gran Torino",ma si vede che il ruolo di un vecchio talent scout del baseball ostinato come i suoi personaggi e determinato a andare avanti per la propria strada,nonostante i problemi di salute,e non solo,Clint Eastwood lo ha trovato congeniale:è una "dramedy" senza scene madri vere e proprie,quasi soffusa,"Di nuovo in gioco",in cui il titolo originale rimanda ad una valutazione tecnica espressa dal protagonista,che ci azzecca più del giovane collega e rivale che lavora con tecnologia e internet, fidandosi del suo istinto e del rumore che fa un colpo sulla palla. In mezzo un rapporto lacerato,non facile,con una figlia che fa l'avvocato e la cui carriera sta andando in progressione,ma ha gli stessi talento e fiuto del padre per i campioni dello sport.Diretto,come spesso gli è accaduto,da un regista professionale,che dirige all'antica,con dissolvenze lente a sciogliere una scena dentro un'altra,il film è una parabola crepuscolare molto americana,in cui la fiducia in qualcosa di meglio da venire è la fiammella che tiene in piedi ogni cosa,e il pessimismo tipico dell'Eastwood regista è stemperato da una buona dose di lievità nella gestione di storia e sceneggiatura che rende la pellicola non un capolavoro,ma un discreto film,che magari spesso,per chi è alieno alle regole del baseball,può lasciare perplessi per linguaggio tecnico usato,ma tutto sommato non vi si perde nemmeno tantissimo,e comunque meno di altri film incentrati su uno degli sport USA per eccellenza. Non si sa se è l'ultima apparizione di Clint in veste d'attore,e tuttavia non sarebbe un congedo ignominioso,come purtroppo è capitato ad altri grandi del cinema (un esempio per tutti,Marlon Brando,purtroppo...),e Amy Adams gli tiene testa con buona grinta,dimostrandosi una volta di più una delle interpreti della sua generazione più eclettiche con i generi di film interpretati:attorno,come caratteristi puri,brillano John Goodman e Robert Patrick.