LE IDI DI MARZO ( Ides of March,USA 2011)
DI GEORGE CLOONEY
Con RYAN GOSLING,GEORGE CLOONEY,Philip Seymour Hoffman,Evan Rachel Wood.
DRAMMATICO
E'vero che George Clooney fa sempre "cool" ma non è un film natalizio,"Le idi di marzo",e forse gli avrebbe giovato uscire qui da noi tra un mesetto:considerazioni sulla distribuzione a parte,che sembra abbia concentrato appunto tra Gennaio e Febbraio un fuoco di fila di uscite importanti che sembra pure eccessivo,tenendo presente anche che comincia la conta per gli Oscar (ma ci sono anche produzioni nostrane che puntano ad incassi sostanziosi),il film è la quarta regia della star emersa con "E.R.",e probabilmente sarà tra le pellicole protagoniste alle prossime nominations per l'Academy.Il film precedente,che era un omaggio dichiarato alla screwball comedy,"In amore niente regole",era,pur garbato e non spiacevole,il meno riuscito tra quelli realizzati da Clooney dietro la macchina da presa:qua torna a tematiche più congeniali al suo modo di fare cinema,che non esula mai da una critica sarcastica alla politica,si pensi al vero e proprio atto di coraggio che è stato "Good night,and good luck",fatto durante il massimo picco reazionario dell'era Bush II. Spostando avanti la data delle primare,licenza perdonabile per essere adeguata al titolo scelto dall'autore,il film racconta una storia sporca di ricatti e ideali macchiati in nome di strategie e successo in politica,illustrando come un nato idealista quale il protagonista Ryan Gosling ceda,in nome dell'ambizione e dell'affermazione personale,al gioco vile dello sgambetto a chiunque,anche a costo della vita di qualcuno:la sceneggiatura,intelligentemente,ambienta nell'ambito del partito democratico,quello del regista,l'urticante faccenda,e non in quello repubblicano,che sarebbe costato al lungometraggio l'accusa facile di faziosità,e procede intensa eppur sciolta con passo sicuro. Clooney conclude con un primo piano silenzioso la storia,e mostra una volta di più la qualità di uomo di cinema abile e intelligente che gli si riconosce:Ryan Gosling si avvia,dopo "Drive" e questo ruolo,ad essere uno dei protagonisti della decade in corso,Clooney compare solo dove richiesto dal racconto al suo personaggio di candidato alla presidenza che rivela un'anima non bella ma la sua presenza aleggia su tutto il film,e se Hoffman e Giamatti,sempre più "uomini de panza" sanno risultare caratteristi con i fiocchi,Evan Rachel Wood è di una bellezza fresca ed espressiva.Un buon film politico,che sa colpire duro.
giovedì 29 dicembre 2011
lunedì 26 dicembre 2011
A DISTANZA RAVVICINATA ( At close range,USA 1986)
DI JAMES FOLEY
Con SEAN PENN,CHRISTOPHER WALKEN,Mary Stuart Masterson,Chris Penn.
DRAMMATICO
Noir d'ambientazione provinciale,immerso in un ambiente rurale,che racconta una storia realmente accaduta,"A distanza ravvicinata" è un film sottovalutato,che merita riconsiderazione. James Foley non ha poi mantenuto le promesse,realizzando cose di poco conto,se si esclude "Americani" da Mamet,ma qua mette in scena una vera e propria tragedia con stile,con un padre fredda carogna che usa il proprio ascendente su figli e scagnozzi per perpetrare violenze in libertà,ed un regolamento di conti sanguinario che parte da metà film in poi,fino ad un confronto conclusivo serrato ed emozionante tra Sean Penn e Christopher Walken. La canzone "Live to tell" di Madonna,all'epoca moglie del giovane protagonista,per l'occasione fatto biondo,viene accennata fino a suonare del tutto all'avvio dei titoli di coda,e commenta con pregnanza i momenti di tensione.Sangue e trappole messe su dal boss di campagna,l'emulazione dei ragazzi che sognano di diventare qualcuno ad ogni costo,anche di diventare dei criminali,la violenza usata come metodo di affermazione e predominio su tutto:ben costruito anche nel progredire delle scene forti,"At close range" è un bel thriller,che coinvolge ed imbastisce su un duello recitativo robusto tra un giovane ed un più maturo leone un pathos non da poco.Penn sarebbe divenuto l'interprete di gran razza che oggi conosciamo,Walken è bravissimo nell'esprimere la sorda psicopatia del suo personaggio screziando la sua pacatezza apparente con leggerissimi tic del volto.
DI JAMES FOLEY
Con SEAN PENN,CHRISTOPHER WALKEN,Mary Stuart Masterson,Chris Penn.
DRAMMATICO
Noir d'ambientazione provinciale,immerso in un ambiente rurale,che racconta una storia realmente accaduta,"A distanza ravvicinata" è un film sottovalutato,che merita riconsiderazione. James Foley non ha poi mantenuto le promesse,realizzando cose di poco conto,se si esclude "Americani" da Mamet,ma qua mette in scena una vera e propria tragedia con stile,con un padre fredda carogna che usa il proprio ascendente su figli e scagnozzi per perpetrare violenze in libertà,ed un regolamento di conti sanguinario che parte da metà film in poi,fino ad un confronto conclusivo serrato ed emozionante tra Sean Penn e Christopher Walken. La canzone "Live to tell" di Madonna,all'epoca moglie del giovane protagonista,per l'occasione fatto biondo,viene accennata fino a suonare del tutto all'avvio dei titoli di coda,e commenta con pregnanza i momenti di tensione.Sangue e trappole messe su dal boss di campagna,l'emulazione dei ragazzi che sognano di diventare qualcuno ad ogni costo,anche di diventare dei criminali,la violenza usata come metodo di affermazione e predominio su tutto:ben costruito anche nel progredire delle scene forti,"At close range" è un bel thriller,che coinvolge ed imbastisce su un duello recitativo robusto tra un giovane ed un più maturo leone un pathos non da poco.Penn sarebbe divenuto l'interprete di gran razza che oggi conosciamo,Walken è bravissimo nell'esprimere la sorda psicopatia del suo personaggio screziando la sua pacatezza apparente con leggerissimi tic del volto.
TELEFON ( Telefon,USA 1977)
DI DON SIEGEL
Con CHARLES BRONSON,LEE REMICK, Donald Pleasence,Patrick Magee.
THRILLER
Alcuni splendidi versi di Robert Frost vengono recitati al telefono,e chi li riceve si innesca,letteralmente,e diviene un kamikaze:da un romanzo giallo intitolato "Pronto?Qui KGB" di Robert Wager,Don Siegel dirige un thriller d'azione con Charles Bronson (con il quale pare ci sia stato qualche diverbio sul set),rimpiazzando Peter Hyams.L'idea,di un certo impatto è notevole,anche se il metodo con cui Bronson e Remick,inviati da funzionari del servizio segreto sovietico per coprire una manovra messa in atto tempo prima,all'insaputa degli stessi politici,intuiscono la strategia del folle che sta scatenando un'ondata di attentati è un pò forzato.Un pò datato,soprattutto per via del fatto che oggi,con telefonini e tutta la tecnologia che in oltre trent'anni ha fatto passi enormi,il film che come titolo porta la parola "telefono" tradotta in russo,ha una sua cadenza che lo rende piacevole ed incalzante.Certo,il serpente a sonagli che è cruciale in sottofinale,purtroppo,considerata la mentalità del tempo,probabilmente è stato ucciso davvero,e se ne poteva fare a meno:ma Bronson come maggiore giudizioso dei servizi segreti tira fuori la pistola il meno possibile,Lee Remick è un'adeguata compagna d'avventura,e Donald Pleasence in versione subdola è sempre una garanzia.
DI DON SIEGEL
Con CHARLES BRONSON,LEE REMICK, Donald Pleasence,Patrick Magee.
THRILLER
Alcuni splendidi versi di Robert Frost vengono recitati al telefono,e chi li riceve si innesca,letteralmente,e diviene un kamikaze:da un romanzo giallo intitolato "Pronto?Qui KGB" di Robert Wager,Don Siegel dirige un thriller d'azione con Charles Bronson (con il quale pare ci sia stato qualche diverbio sul set),rimpiazzando Peter Hyams.L'idea,di un certo impatto è notevole,anche se il metodo con cui Bronson e Remick,inviati da funzionari del servizio segreto sovietico per coprire una manovra messa in atto tempo prima,all'insaputa degli stessi politici,intuiscono la strategia del folle che sta scatenando un'ondata di attentati è un pò forzato.Un pò datato,soprattutto per via del fatto che oggi,con telefonini e tutta la tecnologia che in oltre trent'anni ha fatto passi enormi,il film che come titolo porta la parola "telefono" tradotta in russo,ha una sua cadenza che lo rende piacevole ed incalzante.Certo,il serpente a sonagli che è cruciale in sottofinale,purtroppo,considerata la mentalità del tempo,probabilmente è stato ucciso davvero,e se ne poteva fare a meno:ma Bronson come maggiore giudizioso dei servizi segreti tira fuori la pistola il meno possibile,Lee Remick è un'adeguata compagna d'avventura,e Donald Pleasence in versione subdola è sempre una garanzia.
BLOOD STORY ( Let me in,GB 2010)
DI MATT REEVES
Con KODI SMIT-MCPEE,CHLOE MORETZ,Richard Jenkins,Elias Koteas.
HORROR
Tre anni or sono l'horror vampirico "Lasciami entrare",venuto dalla Svezia,con ritmi cauti ed invenzioni visive dovute anche al budget non altisonante,divenne rapidamente un cult.Storia d'amore maledetto eppure a suo modo innocente,trovava in un finale ineluttabile la giusta cifra che rendeva prezioso il lavoro:ed ecco la versione,pur battente bandiera britannica,per gli States,con il regista venuto fuori con la furbata targata J.J.Abrams "Cloverfield" Matt Reeves,ed il marchio Hammer riemerso dal limbo del tempo a dare una cornice "seria" all'operazione.Ambientazione nel New Mexico,attori americani,più soldi nella produzione,la trama praticamente ricalcata:eppure l'effetto non è il medesimo. Perchè se le atmosfere create nel prototipo svedese erano avvolgenti,ed il film cresceva via via che la pellicola scorreva,qui si registra più che altro lentezza e scarso coinvolgimento da parte dello spettatore:eppure,tecnicamente,forse si parla di una cosa anche superiore all'originale.Il problema è nella regia,che non ha mai un guizzo,un barlume di personalità,anche se è vero che trattandosi di un remake molto è stato fatto per ripresentare la storia fedelmente al modello:ma che si sia visto o no,salta agli occhi che nel dramma della piccola vampira e del vincolo di sangue e passione che porterà un complice a passarle la vita accanto e macchiarsi di delitti per assecondare il legame non trasuda,qui,nessuna empatia.Nonostante gli evidenti sforzi produttivi,"Blood story" sa troppo di riproduzione e non vive di vita propria.
DI MATT REEVES
Con KODI SMIT-MCPEE,CHLOE MORETZ,Richard Jenkins,Elias Koteas.
HORROR
Tre anni or sono l'horror vampirico "Lasciami entrare",venuto dalla Svezia,con ritmi cauti ed invenzioni visive dovute anche al budget non altisonante,divenne rapidamente un cult.Storia d'amore maledetto eppure a suo modo innocente,trovava in un finale ineluttabile la giusta cifra che rendeva prezioso il lavoro:ed ecco la versione,pur battente bandiera britannica,per gli States,con il regista venuto fuori con la furbata targata J.J.Abrams "Cloverfield" Matt Reeves,ed il marchio Hammer riemerso dal limbo del tempo a dare una cornice "seria" all'operazione.Ambientazione nel New Mexico,attori americani,più soldi nella produzione,la trama praticamente ricalcata:eppure l'effetto non è il medesimo. Perchè se le atmosfere create nel prototipo svedese erano avvolgenti,ed il film cresceva via via che la pellicola scorreva,qui si registra più che altro lentezza e scarso coinvolgimento da parte dello spettatore:eppure,tecnicamente,forse si parla di una cosa anche superiore all'originale.Il problema è nella regia,che non ha mai un guizzo,un barlume di personalità,anche se è vero che trattandosi di un remake molto è stato fatto per ripresentare la storia fedelmente al modello:ma che si sia visto o no,salta agli occhi che nel dramma della piccola vampira e del vincolo di sangue e passione che porterà un complice a passarle la vita accanto e macchiarsi di delitti per assecondare il legame non trasuda,qui,nessuna empatia.Nonostante gli evidenti sforzi produttivi,"Blood story" sa troppo di riproduzione e non vive di vita propria.
FINALMENTE LA FELICITA'( I,2011)
DI LEONARDO PIERACCIONI
Con LEONARDO PIERACCIONI, Ariadna Romero,Rocco Papaleo,Thiago Alves.
COMMEDIA
Rieccolo,puntualissimo ogni due Natali,Pieraccioni Leonardo da Firenze,spesso ai piani alti della classifica degli incassi da quando ha cominciato a dirigere ed interpretare commedie sentimentali di gran presa sul pubblico,meno sulla critica:a dire il vero,negli ultimi tre casi,la tendenza sembrerebbe cambiata,ma al peggio.Gli introiti del "cinecacciucco",come l'ha ribattezzato qualcuno un pò ignorantello tra i critici (perchè il cacciucco è livornese,quindi fuori luogo,se si deve proprio diciamo "cinelampredotto",o "cineschiacciata con l'uva",meglio?) sono virati al peggioramento,un pò come il tradizionale appuntamento con la combriccola De Sica:è fisiologico,la solita minestra,anche alle platee più di bocca buona,può venire a noia,è già successo con precedenti alfieri degli esercenti:la solita commediola alla bonacciona con il ragazzone (un pò "bietolone" come si dice appunto in loco,essendo chi scrive fiorentino DOC) ormai avviato verso la cinquantina che incontra una gran sventola e la fa innamorare con la goffaggine dei suoi modi è ormai aria fritta,la fluidità dei primi film pieraccioniani è ormai dissolta,cambia il viso della bella di turno,ma niente di nuovo,per carità. Non è neanche migliorato nella recitazione,il pur bravo come cabarettista Leonardo,ed il male maggiore è che appunto non emerge alcun visibile sforzo da parte sua nè nella sceneggiatura,nè nelle idee,nè nella volontà di dar nuova linfa ad uno schema consumato fino a mostrare la corda ad ogni passo.Qui dopo venti minuti si comincia a chiedersi quanto manchi alla prevedibile fine,il che di solito non è mai segno buono:pare che i primi dati sia per questo film che per il nuovo prodotto della ditta Parenti & DeSica siano deludenti.E se si provasse a cercare nuovi ingredienti,un minimo tentativo delle meningi degli sceneggiatori per rinnovare la baracca?A volte nel commercio,perchè a questo punto di questo si parla,funziona....
DI LEONARDO PIERACCIONI
Con LEONARDO PIERACCIONI, Ariadna Romero,Rocco Papaleo,Thiago Alves.
COMMEDIA
Rieccolo,puntualissimo ogni due Natali,Pieraccioni Leonardo da Firenze,spesso ai piani alti della classifica degli incassi da quando ha cominciato a dirigere ed interpretare commedie sentimentali di gran presa sul pubblico,meno sulla critica:a dire il vero,negli ultimi tre casi,la tendenza sembrerebbe cambiata,ma al peggio.Gli introiti del "cinecacciucco",come l'ha ribattezzato qualcuno un pò ignorantello tra i critici (perchè il cacciucco è livornese,quindi fuori luogo,se si deve proprio diciamo "cinelampredotto",o "cineschiacciata con l'uva",meglio?) sono virati al peggioramento,un pò come il tradizionale appuntamento con la combriccola De Sica:è fisiologico,la solita minestra,anche alle platee più di bocca buona,può venire a noia,è già successo con precedenti alfieri degli esercenti:la solita commediola alla bonacciona con il ragazzone (un pò "bietolone" come si dice appunto in loco,essendo chi scrive fiorentino DOC) ormai avviato verso la cinquantina che incontra una gran sventola e la fa innamorare con la goffaggine dei suoi modi è ormai aria fritta,la fluidità dei primi film pieraccioniani è ormai dissolta,cambia il viso della bella di turno,ma niente di nuovo,per carità. Non è neanche migliorato nella recitazione,il pur bravo come cabarettista Leonardo,ed il male maggiore è che appunto non emerge alcun visibile sforzo da parte sua nè nella sceneggiatura,nè nelle idee,nè nella volontà di dar nuova linfa ad uno schema consumato fino a mostrare la corda ad ogni passo.Qui dopo venti minuti si comincia a chiedersi quanto manchi alla prevedibile fine,il che di solito non è mai segno buono:pare che i primi dati sia per questo film che per il nuovo prodotto della ditta Parenti & DeSica siano deludenti.E se si provasse a cercare nuovi ingredienti,un minimo tentativo delle meningi degli sceneggiatori per rinnovare la baracca?A volte nel commercio,perchè a questo punto di questo si parla,funziona....
venerdì 23 dicembre 2011
NATALE IN SUDAFRICA (I,2010)
DI NERI PARENTI
Con CHRISTIAN DE SICA,MASSIMO GHINI,BELEN RODRIGUEZ,GIORGIO PANARIELLO.
COMICO
C'è il mondiale di calcio in Sudafrica,ambientiamoci anche il cinepanettone,dev'essere stata in odor di genialata l'intuizione di Parenti & compari,facciamo fare il solito giro da turisti seduti in sala agli spettatori che ci seguono sempre ed attendono la settimana di Natale per tornare a vedere Christian De Sica e gli ospiti di turno imbastire,più o meno,il medesimo teatrino di sempre tra corna,manze da paura,imbrogli e insulti a tutto spiano. Poi magari De Laurentiis e gli analisti delle classifiche degli incassi si meravigliano se rispetto a qualche anno prima il prodotto mangiasoldi per eccellenza della cinematografia italiana degli ultimi vent'anni lascia un pò a desiderare ed incassa meno:ma è un fenomeno normale,è successo a tutti i filoni,come già avevo scritto tempo fa,è capitato a Bud Spencer e Terence Hill,ai film di Celentano,Pozzetto,Villaggio.Se non ci piantano nuove idee,i filoni si esauriscono,è fisiologico.E sperare che spettatori spesso abituati a precipitarsi una sola volta all'anno in un cinema per visionare le nuove avventure di De Sica e gli altri,può andare bene per degli anni,ma prima o poi il meccanismo si inceppa. Tutto questo,anche perchè parlare di un film che non c'è è difficile:se poi si vuol chiamare tale la solita sequela di scenette che prevedono appunto De Sica abituato al lusso che si ritrova senza una lira in viaggio in Sudafrica e tenta di fregare il fratello Max Tortora che a sua volta fa lo stesso gioco,Ghini e Panariello (diciamolo,per il cinema quest'ultimo è una forzatura) che si contendono le grazie della bella entomologa Belen Rodriguez(credibile in tal ruolo come Chuck Norris lo sarebbe nell'interpretare Einstein),e,ciliegina sulla torta,un triangolo amoroso scialbo e stucchevole tra tre giovanissimi,due dei quali figli dei due spersi nella savana a cercare la farfalla (eh,già....)della studiosa dalle belle cosce.Mettiamo un paio di gags scatologiche,con purga data ad un ippopotamo,e si è già capito che aria tira:la solita,viziata,abusata,stanca di ogni Natale a chissà dove.
REAL STEEL-Cuori d'acciaio (Real steel,USA 2011)
DI SHAWN LEVY
Con HUGH JACKMAN. Dakota Gojo,Evangeline Lilly,Anthony Mackie.
FANTASCIENZA/AZIONE
Premettendo che molto di ciò che si vede in "Real Steel" viene esplicitamente da "Over the top" (il canovaccio,più o meno,è quello,e chi avrebbe mai detto che un film così avrebbe avuto una sorta di remake...),da "Rocky" (il probabile perdente che sfida tutti e arriva alla vetta),ed altri cloni d'ispirazione stalloniana,il film di Shawn Levy è cinema per ragazzi che non dimentica di sottolineare valori in maniera sincera. E' vero che la scena in cui il piccolo coprotagonista si prende il microfono sul ring e fa una sparata è il punto meno credibile della pellicola,e più stonato,però questa storia di "losers",con un Hugh Jackman cialtrone di buon cuore,che si ritrova padre a sorpresa di un undicenne mai conosciuto prima,tocca corde oneste,diviene un racconto di dignità ritrovata,e di vittoria morale,che in una società in cui spesso si inneggia a modelli inarrivabili,è da apprezzare. Ben girato nelle scene di combattimento,che infine si prendono una minima parte della narrazione,il film è molto migliore di quanto possa lasciar pensare nelle premesse,leggendo il sunto del soggetto,ed appunto, non si sciupa,esaltando il pregio di provarci,perlomeno,a scapito di una semplicistica voglia di affermazione a tutti i costi.
giovedì 22 dicembre 2011
FROST/NIXON-Il duello ( Frost/Nixon,USA 2008)
DI RON HOWARD
Con MICHAEL SHEEN,FRANK LANGELLA,Rebecca Hall,Kevin Bacon.
DRAMMATICO
Il film d'autore che un regista "popolare" quale è Ron Howard (e comunque,uno che da trent'anni realizza film così impregnati dello spirito della propria nazione,e che comunque hanno presentato vari risvolti della Storia della stessa,va considerato un autore) si è azzardato a fare,incurante della relativa riuscita al box-office,è "Frost/Nixon",rievocazione di un celeberrimo confronto televisivo tra l'ex-presidente statunitense ed un giornalista televisivo considerato neanche una cima nell'ambiente,che portò il politico ad ammettere,sebbene fugacemente,le proprie colpe. Howard rievoca con abilità l'ambientazione a metà anni Settanta,ed illustra con pratica scioltezza trattative e strategie di due fazioni nell'organizzare un affaire che si rivelerà un colpo giornalistico,nonostante le premesse e la difficoltà di fare aprire uno scafatissimo uomo di Potere e fargli rivelare qualcosa di vero. Gli fanno buon gioco gli interpreti,sia Michael Sheen,un attore tra i più talentuosi oggi sulla piazza,che un Frank Langella fisicamente meno somigliante a "Tricky Dick" del suo predecessore Anthony Hopkins,ma intenso nell'esprimere sia la doppiezza che la fragilità ben nascosta di Nixon,e comunque un applauso lo merita il coro di interpreti secondari,Kevin Bacon,Oliver Platt,Sam Rockwell. La ricerca di uno scampolo di Verità nelle parole di un uomo divenuto emblema della corruzione nella politica diviene una pagina di cinema a sfondo politico-storico realizzata con la brillante luminosità hollywoodiana,ma senza cedere alla tentazione di una spettacolarizzazione forzata.Se c'era da laureare con una statuetta Ron Howard,era questa l'occasione.
lunedì 12 dicembre 2011
MIDNIGHT IN PARIS ( Midnight in Paris,ES/USA 2011)
DI WOODY ALLEN
Con OWEN WILSON,Marion Cotillard,Rachel McAdams,Michael Sheen.
COMMEDIA/FANTASTICO
L'annuale appuntamento con Woody Allen ha per sfondo questa volta Parigi,ove si svolge la storia dello sceneggiatore di successo,ma insoddisfatto della propria esistenza,Gil,alle prese con un imminente matrimonio con una ragazza vivace ma superficiale,ed i suoceri che palesemente lo ritengono inadeguato a fare parte della famiglia,che trova casualmente un escamotage notturno che lo trasporta nella Ville Lùmiere degli anni Venti,in cui si imbatte agevolmente con F.S.Fitzgerald,Pablo Picasso,Luis Bunuel,Ernest Hemingway.... E' il maggior successo alleniano a livello commerciale,ed in parte questo è giustificabile che la capitale della Francia è guardata con l'occhio del turista statunitense,con inquadrature-cartolina a mò di spot per la città,che comunque non ne ha gran bisogno.E pur se la storia è gradevole,anche se piena di inciampi a livello di logica narrativa (come fa il protagonista ad entrare ed uscire dai buchi temporali?E perchè lui ne viene fuori,mentre un personaggio importante sceglie di rimanere in un passato?),la conduzione degli attori è al solito ottima (da segnalare Wilson che rifà il verso egregiamente a Woody,ed un bravissimo Michael Sheen nei panni dell'antipatico e tronfio rivale in amore),il film non è intriso di un umorismo trascinante,le giravolte dei sentimenti sono ormai un marchio di fabbrica dell'autore,e tuttavia,la pellicola riesce a piazzare il proprio senso nel finale con spiccata chiarezza.Perchè forse un modo di arrivare ad essere più contenti,è arrischiarsi a trovare quel che il cuore ha spiegato bene esigere.Anche se è semplicemente passeggiare sotto la pioggia.
DI WOODY ALLEN
Con OWEN WILSON,Marion Cotillard,Rachel McAdams,Michael Sheen.
COMMEDIA/FANTASTICO
L'annuale appuntamento con Woody Allen ha per sfondo questa volta Parigi,ove si svolge la storia dello sceneggiatore di successo,ma insoddisfatto della propria esistenza,Gil,alle prese con un imminente matrimonio con una ragazza vivace ma superficiale,ed i suoceri che palesemente lo ritengono inadeguato a fare parte della famiglia,che trova casualmente un escamotage notturno che lo trasporta nella Ville Lùmiere degli anni Venti,in cui si imbatte agevolmente con F.S.Fitzgerald,Pablo Picasso,Luis Bunuel,Ernest Hemingway.... E' il maggior successo alleniano a livello commerciale,ed in parte questo è giustificabile che la capitale della Francia è guardata con l'occhio del turista statunitense,con inquadrature-cartolina a mò di spot per la città,che comunque non ne ha gran bisogno.E pur se la storia è gradevole,anche se piena di inciampi a livello di logica narrativa (come fa il protagonista ad entrare ed uscire dai buchi temporali?E perchè lui ne viene fuori,mentre un personaggio importante sceglie di rimanere in un passato?),la conduzione degli attori è al solito ottima (da segnalare Wilson che rifà il verso egregiamente a Woody,ed un bravissimo Michael Sheen nei panni dell'antipatico e tronfio rivale in amore),il film non è intriso di un umorismo trascinante,le giravolte dei sentimenti sono ormai un marchio di fabbrica dell'autore,e tuttavia,la pellicola riesce a piazzare il proprio senso nel finale con spiccata chiarezza.Perchè forse un modo di arrivare ad essere più contenti,è arrischiarsi a trovare quel che il cuore ha spiegato bene esigere.Anche se è semplicemente passeggiare sotto la pioggia.
sabato 10 dicembre 2011
LE AVVENTURE DI TIN TIN-IL SEGRETO DELL'UNICORNO(Adventures of Tin Tin:The secret of the unicorn,USA/NZ/B 2011)
DI STEVEN SPIELBERG
Con JAMIE BELL,Andy Serkis,Cary Elwes,Daniel Craig.
AVVENTURA
Le peripezie del giornalista in erba Tin Tin sono un classicissimo della moderna letteratura per ragazzi,anche se si sta parlando di strisce a fumetti,da decenni nel cuore di molti appassionati,anche se ci sono state varie accuse di razzismo al personaggio,creato dal disegnatore belga Hergè:dal fumetto al cartoon il passo è stato breve,ed ora,ad opera dell'unione tra due grandi creatori di cinema fantastico,e non,quali Peter Jackson,che produce,e Steven Spielberg,che dirige,le imprese del ragazzo dai capelli rossi ,del cagnolino bianco Milou e del capitano Haddock divengono lungometraggio.Anche se girato con attori veri,in motion capture,come molto cinema a largo uso e consumo di effetti speciali di oggi,trasposto poi in disegno animato e riadattato successivamente per il 3D:spesso Indiana Jones,creatura di Spielberg e George Lucas,è stato accostato al giovanissimo eroe di Hergè,per la qualità delle sue avventure,e l'esoticità degli sfondi sui quali si svolgevano,ma il regista americano ha detto di essersi accostato al mondo di Tin Tin solo una volta che ha accettato di lavorare al progetto. A livello di spettacolarità,il film può essere considerato come un novello punto di riferimento per del cinema a venire:lo scontro tra i velieri in fiamme in una notte di tempesta è superlativo,l'inseguimento in prefinale è una montagna russa vissuta sulla poltrona di una sala,così come il volo in biplano che si schianta nel deserto.Tecnicamente,un film sopraffino.Resta,tuttavia,la sensazione di un lavoro eccellente appunto dal punto di vista dello spettacolo,ma che non incide molto a livello emotivo sullo spettatore,oltre l'emozione da giostra di quando lo si vive,non resta tantissimo su cui riflettere.E,pur in un ambito di cinema per grandi platee,visto che dietro ci sono due magnifici creatori di spettacolarità miscelata ad emozioni pure come Jackson e Spielberg,l'intera operazione,che pare avrà due sequel (in Europa è andato così così,comunque,e in USA uscirà prima di fine anno),sa di goloso sfizio.E come tale,dà l'idea di cosa fine a se stessa.
venerdì 9 dicembre 2011
MIRACOLO A LE HAVRE ( Le Havre,FL/F/D,2011)
DI AKI KAURISMAKI
Con ANDRE' WILMS, Kati Outinen,Blondin Miguel,Jean-Pierre Darroussin.
COMMEDIA
Le città di porto ospitano di tutto,si sa,anche una favola di oggi come questo ultimo lavoro del finlandese Aki Kaurismaki,in cui la poetica dell'autore esplora un'umanità dimessa e male in arnese,tramuta la città del settentrione francese in una dimensione fuori dal tempo,in cui si fuma nei locali,la gente ha tempi lenti,nessuno usa i telefonini (anzi,lo usa il personaggio più odioso,il vicino spione e maligno impersonato da Jean-Pierre Leaud in un cameo de luxe,quindi è evidente il messaggio...),ed un brutto male si può curare con tanta gentilezza ed amore fino ad estirparlo.Storia di persone ai margini,che vivono con poco,"Miracolo a Le Havre" spazia dalla solidarietà che nasce incontrollabile all'amore che passa un velo di bello sopra ogni situazione,anche le più disastrate e malinconiche. Quasi ogni scena sembra una vignetta di una striscia a fumetti,i personaggi hanno quella staticità di fondo appunto dei personaggi dei comics,ed i dialoghi hanno una secchezza quasi didascalica,che è il maggior difetto del film.Che però ha dalla sua un messaggio ottimista,espanso con gentilezza,e il garbo di un lavoro fuori dal tempo:e da tanta benevolenza verso il mondo,difficile non rimanere contagiati.
IL SERPENTE E L'ARCOBALENO
( The serpent and the rainbow,USA 1988)
DI WES CRAVEN
Con BILL PULLMAN,Cathy Tyson,Paul Winfield,Zakes Mokae.
HORROR
Wes Craven è una delle figure importanti del cinema horror degli ultimi quarant'anni:"L'ultima casa a sinistra","Nightmare","Scream",sono tutti figli suoi,ed il regista si è improvvisato anche romanziere.Un talento con una visione calvinista delle cose,come ha scritto qualcuno,ma più che altro,uno dei più politici,come Romero,tra i cineasti specializzati nel mettere i brividi alle platee.Anche il thriller "Red eye" di pochi anni fa aveva una forte venatura politica,e non è da meno neanche "Il serpente e l'arcobaleno",che molti recensori ritengono il suo miglior lavoro,in cui si ipotizza che nella Haiti sotto dittatura, dove la mitologia vooodoo è prosperata,gli zombies sono controllati da chi ha il Potere,e la polizia segreta cattura persone dissidenti per tramutarle in esseri senza mente,dei morti vivi in balia di chi li sa giostrare. Il film ha appunto una partenza molto intelligente,non tutto è ben combinato,forse ad un certo punto Craven paga l'incertezza sul seguire lo spunto "serio" oppure dare più spazio al versante fantastico-orrorifico del plot:certo,non mancano sequenze suggestive,come il giaguaro proiettato dalla mente del protagonista che da pericolo si tramuta in felino affettuoso,ma c'era materia per incidere più a fondo,soprattutto sulla contrapposizione tra poteri,come le case farmaucetiche contro stregonerie e rituali macabri,in fondo similari,come suggerisce a mezza voce la sceneggiatura. Un discreto horror,ma non così memorabile come molta critica ritiene.
L'OSPITE INATTESO ( The visitor,USA 2007)
DI THOMAS MCCARTHY
Con RICHARD JENKINS,Haaz Sleiman,Hiam Abbass,Danai Jekesai Gurira.
DRAMMATICO
Richard Jenkins è uno dei tanti bravissimi caratteristi che in pellicole di vario tipo e genere abbiamo imparato a riconoscere come figura sullo sfondo:affidargli il ruolo principale in un film è stato,oltre che meritorio di una candidatura agli Oscar molto ben data,una mossa intelligente e adattissima,per come l'interprete sa rivestirsi di un ruolo,quello di un mite docente che nell'America oppressa dai veti bushiani si affaccia su realtà lontane,come quella degli immigrati. L'uomo sviluppa un'amicizia con un giovane che è ormai irregolare negli Stati Uniti post-11 settembre,che per una pura e stupida casualità viene intercettato,messo in un centro per immigrati irregolari,e poi espulso senza specificazione dove:nel frattempo,il professore avrà avuto modo di conoscere un altro mondo,e forse anche la nascita di un sentimento per la madre del ragazzo. La regia discreta di McCarthy accompagna un film sobrio,un dramma dai toni soft,anche se la tematica è di quelle pesanti,con attori adeguati,trainati da un ottimo Jenkins,che elargisce misura e ottima tecnica recitativa ad una figura che ha la forza di indignarsi,anche se contro una parete di vetro e l'impassibilità dei funzionari,che sono al servizio di leggi eccessive. Il finale non abbraccia troppo facili sbocchi verso soluzioni positive:la gente comune,compressa da regole che non tengono conto di fattore umano,rispetto per la libertà collettiva per un gioco di potere malsano che,infatti,ha fatto solo macerie,non riesce ad andare contro l'inesorabilità dei tempi. Un film che insinua uno sdegno dal passo dolce ma forte.
DI THOMAS MCCARTHY
Con RICHARD JENKINS,Haaz Sleiman,Hiam Abbass,Danai Jekesai Gurira.
DRAMMATICO
Richard Jenkins è uno dei tanti bravissimi caratteristi che in pellicole di vario tipo e genere abbiamo imparato a riconoscere come figura sullo sfondo:affidargli il ruolo principale in un film è stato,oltre che meritorio di una candidatura agli Oscar molto ben data,una mossa intelligente e adattissima,per come l'interprete sa rivestirsi di un ruolo,quello di un mite docente che nell'America oppressa dai veti bushiani si affaccia su realtà lontane,come quella degli immigrati. L'uomo sviluppa un'amicizia con un giovane che è ormai irregolare negli Stati Uniti post-11 settembre,che per una pura e stupida casualità viene intercettato,messo in un centro per immigrati irregolari,e poi espulso senza specificazione dove:nel frattempo,il professore avrà avuto modo di conoscere un altro mondo,e forse anche la nascita di un sentimento per la madre del ragazzo. La regia discreta di McCarthy accompagna un film sobrio,un dramma dai toni soft,anche se la tematica è di quelle pesanti,con attori adeguati,trainati da un ottimo Jenkins,che elargisce misura e ottima tecnica recitativa ad una figura che ha la forza di indignarsi,anche se contro una parete di vetro e l'impassibilità dei funzionari,che sono al servizio di leggi eccessive. Il finale non abbraccia troppo facili sbocchi verso soluzioni positive:la gente comune,compressa da regole che non tengono conto di fattore umano,rispetto per la libertà collettiva per un gioco di potere malsano che,infatti,ha fatto solo macerie,non riesce ad andare contro l'inesorabilità dei tempi. Un film che insinua uno sdegno dal passo dolce ma forte.
martedì 6 dicembre 2011
SOLO PER VENDETTA ( Hungry rabbit jumps,USA 2011)
DI ROGER DONALDSON
Con NICOLAS CAGE,January Jones,Guy Pearce,Harold Perrineau.
THRILLER
Il "Vengeance-movie" è un sottogenere del thriller drammatico,che negli anni 70/80 ha trovato i suoi campioni in Charles Bronson e Alain Delon.Il plot è più o meno sempre il solito:onesto cittadino con famiglia più o meno felice vede questa distrutta da violenze o stupri ad opera di abominevoli rifiuti della società,e così l'Uomo Qualunque si tramuta in una macchina da guerra che punisce in modo implacabile e sanguinario chi ha fatto del male ai suoi cari. Ne sono usciti a bizzeffe,di film così,puntualmente stroncati dalla critica,anche perchè in sede di educazione civica il cittadino che salta varie fasi e prende la pistola in mano,se non anche peggio,non è proprio il massimo del progressismo."Solo per vendetta",che ha avuto scarso successo,è uno dei tanti film che Nicolas Cage sta girando a ritmi di produzione a cottimo,dietro lautissimi salari (a breve anche un altro thriller con Nicole Kidman ed il sequel di "Ghost rider"!),per riparare gli ammanchi ai suoi contributi fiscali:affidato ad un "professional" qual'è il veterano Roger Donaldson,il film non è neanche tra i peggiori del filone,c'è perlomeno un tentativo di costruzione narrativa,meno esagerazioni nelle imprese del protagonista,e soprattutto,il disagio dello stesso nel dover eseguire,in una sorta di catena di Sant'Antonio efferata,un omicidio a saldare il suo debito con un'associazione segreta di vendicatori del crimine. Cage è volenteroso,ma forse per il troppo girare,quasi mai credibile come insegnante che rifiuta la violenza ma deve forzatamente esercitarne,e l'ambientazione in una New Orleans meno caratteristica di come il cinema ce l'abbia sempre proposta è tutto sommato ben curata:però il thriller non coinvolge più di tanto lo spettatore,e prosegue un pò piattamente verso l'inevitabile resa dei conti finale in cui qualcuno ci lascerà la pelle. Meno invasato di altri titoli similari,ma con poco nerbo.
lunedì 5 dicembre 2011
DI SERGIO CORBUCCI
Con FRANCO NERO,TONY MUSANTE,Jack Palance,Giovanna Ralli.
WESTERN
Se Leone ha girato i capisaldi del western all'italiana,Sergio Corbucci ha realizzato almeno tre lungometraggi,che i fans del genere, e non solo loro,hanno nel cuore:"Django","Il grande silenzio",e "Il mercenario".Personalmente li trovo tre discreti film,con qualche pecca,qualche giro a vuoto,ma ben girati,e tecnicamente di primo livello.Inoltre,come Leone,qui Sergio Corbucci mostra ottima gestione del rapporto tra immagini e suoni,con musiche piazzate al momento giusto,e con l'inquadratura adeguata.Come molti altri spaghetti-western,i buoni sono relativamente tali,e fino alla fine qualcuno sguazzerà nell'ambiguità,salvo sparare a quello giusto quando la tensione è al massimo.Memorabile la scena del duello finale nell'arena,con Musante truccato da clown da rodeo,contro Jack Palance,e Franco Nero inaspettato arbitro della disputa:certo,non ci sono le battute fulminanti dei quattro western e mezzo del barbuto autore di "Per un pugno di dollari",ma il divertimento è assicurato,e le iniezioni di ironia nel copione sono ben assestate.
RIFLESSI IN UN OCCHIO D'ORO(Reflections in a golden eye,USA 1967)
DI JOHN HUSTON
Con ELIZABETH TAYLOR,MARLON BRANDO,Brian Keith,Julie Harris.
DRAMMATICO
Dal romanzo omonimo di Carson McCullers,John Huston trasse questo dramma a sfondo militare,genere che all'epoca,in fase di Vietnam e protesta-anti conflitto ivi combattuto, era molto in voga:nevrosi,sessualità malsane o nascoste covano sotto facciate rispettabili,e le pulsioni dell'Eros,come Freud ha intuito, se vissute male portano a gravi problemi o addirittura disastri.Le due coppie protagoniste della vicenda prevedono una moglie che disprezza il marito maggiore,reputandolo impotente,maltrattandolo anche pubblicamente e cedendo troppo agli istinti,l'ufficiale sopra citato che maschera la propria omosessualità mutandola in aggressività scatenata soprattutto nei momenti di crisi,un altro ufficiale che è l'amante più o meno segreto della prima,e la moglie di questi depressa che pare si sia mutilata i seni con le forbici,per reprimere la propria libido.Nel quadretto poco edificante,svetta il domestico filippino dei secondi,eccentrico e gay,che fa da tutore alla donna che si è ferita da sola. Huston non padroneggia benissimo il plot,si spende a volte in momenti troppo insistiti,il filippino è troppo sopra le righe e reso in maniera troppo ridicola,l'accelerazione finale verso la tragedia,subodorata fino dai primi momenti,è spiccia.Certo,ha fior d'attori in mano,e Brando svetta comunque in un periodo per lui poco felice,appena prima della grande crisi da cui risollevò con "Ultimo tango a Parigi" e "Il padrino":ed il film è avanti a livello di problemi posti,e squarcia ipocriti giri di parole su una condizione che già James Jones in "Da qui all'eternità" aveva buttato in faccia agli americani,quella dei "bravi soldati" che oltre la dimensione delle uniformi pulite e ben tenute nascondono vizi,frustrazioni e condizioni morali piuttosto discutibili.Però il film non è tra le migliori cose del regista di "Moby Dick".
DI JOHN HUSTON
Con ELIZABETH TAYLOR,MARLON BRANDO,Brian Keith,Julie Harris.
DRAMMATICO
Dal romanzo omonimo di Carson McCullers,John Huston trasse questo dramma a sfondo militare,genere che all'epoca,in fase di Vietnam e protesta-anti conflitto ivi combattuto, era molto in voga:nevrosi,sessualità malsane o nascoste covano sotto facciate rispettabili,e le pulsioni dell'Eros,come Freud ha intuito, se vissute male portano a gravi problemi o addirittura disastri.Le due coppie protagoniste della vicenda prevedono una moglie che disprezza il marito maggiore,reputandolo impotente,maltrattandolo anche pubblicamente e cedendo troppo agli istinti,l'ufficiale sopra citato che maschera la propria omosessualità mutandola in aggressività scatenata soprattutto nei momenti di crisi,un altro ufficiale che è l'amante più o meno segreto della prima,e la moglie di questi depressa che pare si sia mutilata i seni con le forbici,per reprimere la propria libido.Nel quadretto poco edificante,svetta il domestico filippino dei secondi,eccentrico e gay,che fa da tutore alla donna che si è ferita da sola. Huston non padroneggia benissimo il plot,si spende a volte in momenti troppo insistiti,il filippino è troppo sopra le righe e reso in maniera troppo ridicola,l'accelerazione finale verso la tragedia,subodorata fino dai primi momenti,è spiccia.Certo,ha fior d'attori in mano,e Brando svetta comunque in un periodo per lui poco felice,appena prima della grande crisi da cui risollevò con "Ultimo tango a Parigi" e "Il padrino":ed il film è avanti a livello di problemi posti,e squarcia ipocriti giri di parole su una condizione che già James Jones in "Da qui all'eternità" aveva buttato in faccia agli americani,quella dei "bravi soldati" che oltre la dimensione delle uniformi pulite e ben tenute nascondono vizi,frustrazioni e condizioni morali piuttosto discutibili.Però il film non è tra le migliori cose del regista di "Moby Dick".
lunedì 14 novembre 2011
DI ROMAN POLANSKI
Con NASTASSJA KINSKI, Peter Firth,Leigh Lawson,John Collin.
DRAMMATICO
Storia di una disgraziata che inciampa in ogni passo sbagliato possibile della propria esistenza,con l'unico pregio di una bellezza che tutti bramano,"Tess dei D'Urbevilles" viene portato sullo schermo da Roman Polanski prima di un lungo silenzio durato sette anni,fino a "Pirati",divertissement intellettuale con Walter Matthau:il racconto della contadinella che sbaglia spesso a chi donare virtù e cuore diviene il film più apertamente letterario dell'autore di "Rosemary's Baby",che con eleganza dipinge paesaggi a colori smorti sebbene densi,e narra una vana ricerca della felicità,alla quale nuoce una sostanziale mancanza d'intelligenza pratica.Vincitore di tre Oscar per la scenografia,fotografia e costumi,tutti e tre molto meritati,"Tess" è una lunga epopea ambientata in un'Inghilterra alle soglie della rivoluzione industriale,con attori poco noti,tranne appunto la bellissima protagonista,all'epoca emergente e già vista in "Così come sei" in Italia,una storia d'amore a troppe facce,contrassegnata dal pessimismo che vuole indirizzare al peggiore dei finali la poverella.Raccontato con gusto d'impaginatore e di intellettuale per una volta votato ad omaggiare i classici,il film è un melò senza ritegno,che evita di spingere sul versante-lacrime,ma evidenzia in tutta la sua miseria la crudeltà di un mondo classista al quale la Storia non ha mai imposto sconti.
DI ALESSANDRO GENOVESI
Con FABIO DE LUIGI,Cristiana Capotondi,Monica Guerritore,Alessandro Siani.
COMMEDIA
DI
Non è la versione italiana di un film di successo estero,come "Benvenuti al Sud",ma quella di una sitcom di successo,inglese.La travagliata vigilia di un imbranato alle prese con la famiglia della futura sposa,un coacervo di persone poco simpatiche e di un'ostilità naturale,consiste in figuracce e guai vari che complicano ulteriormente la già pesantissima atmosfera:dal gulash nascosto in tasca e lanciato dalla finestra sulla serra di casa,il cane gettato nella betoniera,una robusta ed insistita tastata ai seni della bella suocera data per sbaglio,fino a mandare la nonna della fidanzata in coma,al povero De Luigi capita di tutto,e,ciliegina sulla torta,si porta dietro il collega napoletano Siani a combinare altri disastri.L'esordio di Paolo Genovesi,che si ritaglia la particina del prete pignolo,non è di quelli che mozzano il fiato:non riesce mai a dare il ritmo giusto ad una pellicola che proprio nella giusta scansione di scene e montaggio troverebbe uno dei suoi punti forti,la formula ereditata dalla sit-com non si sposa bene alla formula-film,perchè appunto ogni giorno corrisponderebbe ad una puntata della serie,e a livello consequenziale la storia è improbabile.Del cast il protagonista esagera con mossette ed espressioni facciali,Catania e la Guerritore sembrano fuori luogo e poco a loro agio,la Capotondi dona una giusta isteria di ritorno alla sua sposina in pectore,e Siani ha troppo poco spazio per risaltare.Difficile divertirsi davvero,più facile lasciarsi andare agli sbadigli.
giovedì 10 novembre 2011
LA PELLE CHE ABITO ( La piel que habito,ES 2011)
DI PEDRO ALMODOVAR
Con ANTONIO BANDERAS,ELENA ANAYA,Marisa Paredes,Blanca Suarez.
DRAMMATICO/THRILLER
Vincere l'Oscar non ha portato maggiori fortune a Pedro Almodòvar:nella decade successiva al meritatissimo trionfo agli Academy Awards con "Tutto su mia madre",il cineasta iberico ha realizzato una manciata di film che sempre di più hanno scontentato i fans e la critica solitamente favorevole al cinema dell'autore di "Legami!".E neanche la ricongiunzione con il divo che Almodòvar stesso scoprì e lanciò,Antonio Banderas,tornato a lavorare in una pellicola spagnola dopo anni di Hollywood,è riuscita a ricreare l'evento:gli incassi di "La pelle che abito",dopo l'interesse dei primi giorni,si sono rapidamente sgonfiati,e sui giornali i recensori hanno perlopiù mostrato il pollice verso.La storia,tratta dal romanzo noir ad un passo dall'horror "Tarantula",sfiora le corde grottesche tipiche del mondo almodòvariano,ma senza alcuna ironia a far da lubrificante:un chirurgo di non specchiata virtù rapisce il presunto stupratore della figlia,lo imprigiona e gli cambia sesso,divenendone in seguito l'amante,ma finisce tutto in tragedia e nel sangue.Si è parlato del mito frankensteiniano,dell'uomo di scienza che vuole sostituirsi a Dio,dei canali imprevisti delle passioni e della sessualità, ma più che altro la sceneggiatura di questo "horror dell'anima",come lo ha definito il regista,è scombinata fin troppo,procedendo per ellissi narrative,togliendo di mezzo personaggi alla brava,costruendo dal nulla un innamoramento per la "Creatura" da parte del perverso medico,andando a casaccio nella struttura a scatole cinesi che ormai contraddistingue il cinema dell'autore da "La mala educaciòn" in poi.Banderas fornisce una prova elegante ma senz'anima,Elena Anaya emana fascino sia nuda che vestita,ma il film non funziona,non è memorabile e non coinvolge,soprattutto,come molte altre pellicole dirette anni fa da questo regista che forse non ha più niente di molto interessante da dire.
DI PEDRO ALMODOVAR
Con ANTONIO BANDERAS,ELENA ANAYA,Marisa Paredes,Blanca Suarez.
DRAMMATICO/THRILLER
Vincere l'Oscar non ha portato maggiori fortune a Pedro Almodòvar:nella decade successiva al meritatissimo trionfo agli Academy Awards con "Tutto su mia madre",il cineasta iberico ha realizzato una manciata di film che sempre di più hanno scontentato i fans e la critica solitamente favorevole al cinema dell'autore di "Legami!".E neanche la ricongiunzione con il divo che Almodòvar stesso scoprì e lanciò,Antonio Banderas,tornato a lavorare in una pellicola spagnola dopo anni di Hollywood,è riuscita a ricreare l'evento:gli incassi di "La pelle che abito",dopo l'interesse dei primi giorni,si sono rapidamente sgonfiati,e sui giornali i recensori hanno perlopiù mostrato il pollice verso.La storia,tratta dal romanzo noir ad un passo dall'horror "Tarantula",sfiora le corde grottesche tipiche del mondo almodòvariano,ma senza alcuna ironia a far da lubrificante:un chirurgo di non specchiata virtù rapisce il presunto stupratore della figlia,lo imprigiona e gli cambia sesso,divenendone in seguito l'amante,ma finisce tutto in tragedia e nel sangue.Si è parlato del mito frankensteiniano,dell'uomo di scienza che vuole sostituirsi a Dio,dei canali imprevisti delle passioni e della sessualità, ma più che altro la sceneggiatura di questo "horror dell'anima",come lo ha definito il regista,è scombinata fin troppo,procedendo per ellissi narrative,togliendo di mezzo personaggi alla brava,costruendo dal nulla un innamoramento per la "Creatura" da parte del perverso medico,andando a casaccio nella struttura a scatole cinesi che ormai contraddistingue il cinema dell'autore da "La mala educaciòn" in poi.Banderas fornisce una prova elegante ma senz'anima,Elena Anaya emana fascino sia nuda che vestita,ma il film non funziona,non è memorabile e non coinvolge,soprattutto,come molte altre pellicole dirette anni fa da questo regista che forse non ha più niente di molto interessante da dire.
Iscriviti a:
Post (Atom)